sabato 14 maggio 2016
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ROMA Inizia dagli universitari la campagna referendaria. Ancora non c’è il via ufficiale di Renzi, ma già la 'madrina' della riforma Maria Elena Boschi parte per il tour dei comitati del 'Sì'. Un avvio su cui non concorda la minoranza del Pd, che avrebbe preferito tutto il partito impegnato sulle amministrative. E però il segnale di Palazzo Chigi è chiaro, anche se il governo sembra accogliere i suggerimenti di chi chiede di 'depoliticizzare' l’appuntamento di ottobre. Almeno nel primo discorso del ministro delle Riforme. «Noi al referendum abbiamo chiesto un voto sul merito», spiega allora Boschi. «Se però un governo che ha presentato le riforme, che su di esse ha chiesto fiducia al Parlamento, perde il referendum e dicesse 'non è successo niente, amici come prima', allora non sarebbe serio». Insomma, «impegnarsi in politica significa assumersi le responsabilità e anche prendere atto» in caso di sconfitta. «Questo è un grande valore perché cambia l’approccio alla politica e io lo rivendico». Di fatto, dunque, Boschi conferma la strategia renziana, e però ricorda agli studenti che la riforma non appartiene al governo, che l’ha promossa, ma al Parlamento. Perciò, 'quella che i cittadini dovranno fare nel referendum costituzionale di ottobre è una scelta di merito, non di simpatia e antipatia del governo. Si vota sulle riforme: su altro saremo chiamati a decidere, nel 2018'. E allora incita i giovani della Scuola superiore dell’Università di Catania: «Riflettiamo sull’impatto che le riforme potranno avere sul nostro Paese. Mi auguro che da parte di ognuno, a prescindere dalle opinioni, ci sia la voglia di partecipare da protagonisti». Sebbene non si tratti di una riforma 'perfetta', consapevole che 'si potevano fare scelte più coraggiose in alcuni punti, ad esempio sulla modalità di voto nell’ambito del Senato. Questa, però è una buona riforma». E allora il vertice del Pd e il governo tutto sono pronti ad ascoltare quello che gli italiani hanno da dire, mostrando più disponibilità al dialogo di quanto non ne abbia riscontrato la sinistra interna. Sinistra che però non approva i tempi scelti da Renzi e dai suoi, così come vorrebbe sentirsi libera di dire il suo no alla riforma che, spiegano i bersaniani, è un tema «trasversale che non può ridursi a un quesito sulla persona». Concorda il procuratore capo di Torino Armando Spataro: «È stato il premier ad aver politicizzato il quesito». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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