martedì 3 gennaio 2017
Invisibili all’occhio comune, sempre recidivi Ma non per gli agenti della Squadra Mobile
Borsaioli in azione, 20mila colpi in un anno Centinaia gli arresti
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Loro sono le "foglie morte" della città. Tornano periodicamente, si raccolgono nei parcheggi dei grandi centri commerciali, nelle stazioni dei treni e della metropolitana, fuori dagli hotel e di fianco alle vetrine dei negozi del centro, e quando ti toccano non fanno alcun rumore. I loro volti hanno i lineamenti piatti, come i marciapiedi che calpestano. Se sono in metropolitana indossano felpa e portano le scarpe da tennis, se vanno al ristorante si mettono la giacca e vestono bene, se alla stazione li vedi con una valigia in mano... beh allora di sicuro è di qualcun altro. I loro volti non contano. È il loro modo di muoversi a rivelarli: sono come legati da un filo da pesca, ma è un filo totalmente invisibile a chi non è del mestiere. Sudamericani, italiani, romeni, slavi e magrebini (in ordine numerico): sono i borsaioli, i pickpockets, a volte girano da soli, ma più spesso in squadra o in batterie nelle zone della città in cui si concentra il maggior flusso di persone. Insieme a loro, negli stessi posti, ma più defilati ancora, ci sono gli agenti del gruppo antiborseggio della Squadra mobile. Loro, invece, sono come i croupier al casinò: controllano i giocatori e i loro movimenti, conoscono tutti i trucchi e sanno già chi prima o poi barerà. È una partita continua a guardie e ladri, e le regole sono semplici. Niente attività investigativa, né intercettazioni né armi, e si arresta solo in flagranza: contano soltanto destrezza da una parte e occhio dall’altra.


E nel mezzo a girare tutti gli altri, noialtri, il flusso cieco e ignaro: pedine che si muovono dai treni al metro e viceversa, entrano al bar, vanno al lavoro e escono dai supermercati. Una partita che, con le pene previste dal nostro sistema giudiziario, può tranquillamente protrarsi oltre i dieci, venti arresti per la stessa persona e dove il fuori campo non è poi così raro: gli stessi poliziotti si sono ritrovati davanti le stesse facce durante una vacanza a Parigi, in un caffè di Roma, su di un ponte sul Tamigi, davanti al museo del Prado a Madrid (borseggiatore fa rima con viaggiatore). «Mi ha fatto pure l’occhiolino. Ma tanto qui deve tornare, e poi vediamo» dice Luigi, uno dei veterani dell’antiborseggio. Il pickpocket infatti è sempre recidivo, perché ama profondamente e compulsivamente quello che fa. «"Uno lì"... lì dove? " Lì ce n’è un altro"... un altro cosa?"E il terzo... eccolo là!... l’hanno fatto ora, interveniamo"... ma di cosa parlate?» chiedevo la prima volta che ero uscito con loro, ricorda Francesco Giustolisi, che guida la sesta sezione della Squadra Mobile (che comprende anche tre gruppi antispaccio e uno antirapine).


«Decifrare i gesti, stabilire i collegamenti tra le persone di una stessa batteria e aspettare il movimento rivelatore... Ore e ore di appostamenti, e non è detto che alla fine arrivi. Non si può stare vicini, altrimenti si viene bruciati. Così magari li vediamo allontanarsi senza che siamo sicuri se c’è stato il borseggio oppure no» dice Antonio, da vent’anni all’antiborseggio. Se il borsaiolo è un mestiere che non s’impara a scuola, né si comincia da grandi (l’allenamento delle dita e dell’occhio richiedono tempo) il tirocinio di un agente dell’antiborseggio è altrettanto lungo, perché l’obiettivo alla fine è diventare anonimi come loro.
Il suo collega Alessandro, 40 anni, ha capito di essere arrivato a «un buon livello di anonimato» quando si è presentato per restituire la borsa a una signora e ha dovuto fronteggiare la sua reazione isterica in quanto scambiato per il ladro. «Bisogna sapere, per esempio, quanti secondi ci si impiega per aprire una borsa. Se ha la cerniera quattro, se ha la chiusura con la clip, due, per intervenire al momento giusto» dice. Nel 2016 sono stati oltre 20mila i furti con destrezza commessi in tutta provincia di Milano, stando al report di fine anno con i dati del Viminale. Per il questore di Milano Antonio De Iesu «i reati predatori (tra cui rientra il borseggio, ndr.) sono, insieme al controllo del territorio, il core business del nostro lavoro».


Un centinaio tra arresti e denunce, per un gruppo formato da nove persone (Luigi, Alessandro, Antonio, Luca, Valentina, Fabio, Paolo, Stefano, Federico) in cui i vecchi e giovani leoni si bilanciano per numero. «Perché abbiamo fatto entrare anche una donna?... beh non possiamo usare sempre la scusa del regalo alla moglie per entrare da Intimissimi o da Zara» dice Giustolisi, che ha rinnovato il gruppo antiborseggio dopo l’arresto un anno fa di due agenti che taglieggiavano le borseggiatrici rom in Stazione Centrale, incamerando parte degli incassi (croupier divenuti bari essi stessi). «Una vicenda nata e morta qui dentro (i due poliziotti sono stati indagati e fermati dai loro stessi colleghi), ma è stata dura mandarla giù» dice, rifattosi serio.


Che sia il trucco di sporcare il giubbotto con la maionese per ripulire la vittima, o di bucare la gomma dell’auto, che i siano filatori di banche o i metodici che battono i teatri e le chiese con il programma e il calendario delle messe alla mano, i borseggiatori lavorano sempre sulla distrazione. Se c’è un complice sarà quest’ultimo a crearla, e se è da solo sfrutterà la vostra distrazione. Le tecniche sono le stesse da una vita, soltanto che oggi si va in giro con smartphone, i-pad, e-book: nuovi oggetti di distrazione che aumentano le occasioni per il ladro. Ma in ogni caso la distrazione c’è sempre. I borsaioli sono infatti gli emissari silenziosi del caos, nel suo doppio significato: confusione e vuoto insieme. «Smarrimento, senso di violazione della propria intimità sono le reazioni comuni a chi subisce un borseggio» dice ancora Antonio. Qualcuno ha scritto che subire un furto sulla propria pelle è l’esperienza più vicina al soprannaturale su questa terra: si gira e ci si rigira su se stessi senza capire quando né come è successo, come un cane che non trova più il proprio posto.


«In compenso, la soddisfazione più grande di questo lavoro si ha quando restituisci il portafogli. E non è una battuta – dice Luca –. Non è una cosa così scontata per un poliziotto essere ringraziati: ma in questi casi la riconoscenza c’è sempre... beh quasi sempre: con i portafogli dei ricchi, per la verità, succede molto meno. Dovrebbe essere il contrario perché sono molto più gonfi, invece...»

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