venerdì 3 maggio 2019
Il tribunale di Bologna ha accolto il ricorso dei 2 richiedenti asilo a cui il Comune aveva negato l'iscrizione anagrafica in base al decreto Sicurezza. La Cassazione riapre la questione retroattività
Giudici: sì alla residenza ai richiedenti asilo. Salvini all'attacco
COMMENTA E CONDIVIDI

La sezione civile del Tribunale di Bologna ha imposto al Comune di iscrivere nella propria anagrafe due richiedenti asilo che avevano fatto ricorso – uno presentato dagli avvocati Paola Pizzi ed Antonio Mumolo, volontari dell’associazione Avvocato di strada Onlus e l’altro dall’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) – contro il diniego stabilito sulla base del cosiddetto decreto Salvini.

Una delle due ricorrenti è una donna ospite in una struttura di accoglienza che era scappata dal suo Paese perché si sentiva perseguitata a seguito della sparizione del marito e del figlio, e aveva richiesto l'iscrizione anagrafica lo scorso 4 febbraio ma il 6 marzo l'ufficiale di anagrafe del Comune aveva dichiarato "irricevibile" la domanda. Il 27 marzo aveva presentato ricorso. "Queste persone hanno diritto alla residenza e, grazie a un'interpretazione costituzionale della norma, ora potranno accedere al servizio sanitario, aprire un conto corrente in banca o trovare un lavoro ovvero godere di diritti che prima venivano loro negati – ha spiegato Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada –. È vero che la legge diceva che questi diritti sarebbero stati garantiti, ma non diceva con quali provvedimenti".

"Il giudice Matilde Betti ha riconosciuto la fondatezza della domanda presentata - si legge in una nota sul sito di Avvocatp di strada onlus - in via cautelare dalla ricorrente e ha ordinato al sindaco di Bologna, nella sua qualità di Ufficiale di Governo responsabile della tenuta dei registri anagrafici, di procedere alla iscrizione della ricorrente nel registro anagrafico della popolazione residente nel comune di Bologna, con le modalità previste per le persone senza dimora".

La notizia del ricorso accolto è stata confermata anche dallo stesso sindaco di Bologna Virginio Merola (Pd) con un post sul suo profilo Twitter: "Saluto questa sentenza con soddisfazione, il Comune la applicherà senza opporsi", ha scritto il primo cittadino. La replica del ministro dell'Interno è arrivata sempre a colpi di social: "Sentenza vergognosa". "Se qualche giudice vuole fare politica e cambiare le leggi per aiutare gli immigrati, lasci il Tribunale e si candidi con la sinistra. Ovviamente faremo ricorso contro questa sentenza, intanto invito tutti i sindaci a rispettare (come ovvio) la legge", ha detto il vicepremier leghista.

Ora il municipio del capoluogo emiliano-romagnolo dovrà provvedere all'iscrizione su ordine della magistratura e i due richiedenti asilo potranno ottenere la residenza.

Va ricordato che il decreto voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo, pur valendo quale documento di riconoscimento, non possa essere utilizzato quale documento valido per richiedere l’iscrizione anagrafica. Il titolare di permesso di soggiorno per richiesta asilo potrà ottenere l’iscrizione anagrafica esibendo all'Ufficio anagrafe un altro documento valido a dimostrare la regolarità del soggiorno in Italia, come ha ricordato l'avvocato di Asgi, Nazzarena Zorzella: "La legge Salvini dice che il permesso di soggiorno per asilo non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ma, come ha stabilito il Tribunale, non esistono titoli per l'iscrizione – ha spiegato la legale Zorzella - perché questa avviene sulla base di una dichiarazione della persone che denuncia al Comune il luogo in cui abita e non servono titoli ma solo la regolarità del soggiorno" che, sempre stando ad Asgi, è accertabile attraverso, ad esempio, il modello C3 di richiesta asilo presentato in questura, la ricevuta rilasciata da quest’ultima per attestare il deposito della richiesta di soggiorno o la scheda di identificazione redatta dalla questura.

A questo proposito è stato riportato che fonti del Viminale sottolineano che sentenze di questo tipo non intaccano la legge: non sono definitive, riguardano singoli casi e per modificare la norma serve un pronunciamento della Corte Costituzionale.

IL PRECEDENTE DEL TRIBUNALE DI FIRENZE

Un caso analogo aveva riguardato un cittadino somalo regolarmente soggiornante a Scandicci, in provincia di Firenze, sin dal settembre 2018, richiedente asilo e in accoglienza presso un struttura della Diaconia Valdese fiorentina, che aveva presentato istanza di iscrizione anagrafica appena sei giorni dopo l’entrata in vigore del decreto Sicurezza. Il 13 novembre 2018 aveva ricevuto la risposta negativa dall’ente locale.
Dopo il ricorso, l'ordinanza del Tribunale di Firenze (IV sezione Civile, giudice Carvisiglia), in 22 pagine dettagliate aveva già messo un punto fermo sulla dibattuta questione della presunta residenza “vietata” agli asilanti.

CASSAZIONE: IN CONTRASTO LE INTERPRETAZIONI DEI COLLEGI, SERVE UNA PRONUNCIA DELLE SEZIONI UNITE SULLA RETROATTIVITÀ DEL DECRETO SICUREZZA

Si apre anche un altro capitolo sul decreto Sicurezza: si è resa necessaria una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione sulla retroattività del decreto Sicurezza. La nuova interpretazione della Suprema Corte, per la quale le disposizioni sui permessi di soggiorno hanno "applicazione immediata", è in contrasto con una precedente pronuncia, secondo la quale invece il decreto è irretroattivo, e riapre la questione.

Cassazione: «Il decreto sicurezza non può essere retroattivo» (di N. Scavo)

Il collegio (con l'ordinanza interlocutoria n.11749) chiede al primo presidente che sia l'organo di vertice della giurisprudenza a dirimere la questione.

Il nuovo orientamento della Cassazione è in contrasto con la sentenza n. 4890 pubblicata il 19 febbraio. In quell'occasione il collegio aveva ritenuto che la nuova legge, voluta dal ministro dell'Interno Salvini, che ha dettato nuove regole e requisiti, "non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell'entrata in vigore", il 5 ottobre scorso.

Secondo la seconda interpretazione, emersa oggi, e che rende necessaria una pronuncia delle Sezioni Unite, invece non "va sottovalutato che lo strumento utilizzato del decreto legge, convertito con legge che esclude la vacatio, è segno dell'intenzione del legislatore di intervenire immediatamente nelle fattispecie in corso: escludendo l'applicazione della nuova legge a tutto coloro che abbiano solo avviato un procedimento per il riconoscimento della protezione umanitaria, sarebbe impedito alla legge di raggiungere i suoi effetti, esonerando tra l'altro indebitamente la stessa autorità amministrativa dall'applicarla". Con questa nuova pronuncia, i giudici sottolineano che la nuova legge va applicata salvo che sia stabilito un termine diverso: "è questo un corollario del principio di eguaglianza di fronte alla legge che deve applicarsi nei confronti di tutti i cittadini, non tollerandosi, di regola, l'applicazione contemporanea di leggi diverse regolanti la medesima situazione sostanziale".

Questa affermazione chiama in causa il canone, previsto dalle preleggi, che "la legge non dispone che per l'avvenire". Ma, a tale proposito, i giudici ritengono che "l'applicazione immediata di una nuova norma, non solo non è astrattamente vietata ma è la regola vincolante per gli interpreti, ai quali non è consentito di incidere sulla vigenza della legge", un potere riservato al legislatore.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI