giovedì 12 luglio 2012
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È più una colpa personale della quale è giusto dover rispondere o un’ingiustizia dovuta a una serie di concause per le quali gli studenti diventano vittime? Insomma, bocciare a scuola è sempre legittimo o può essere una decisione sbagliata che rischia di "allontanare" i ragazzi? E gli studente che non si impegnano e che raccolgono soltanto insufficienze, sono "peccatori" colpevoli, come ha provocatoriamente tuonato un parroco del Padovano? E ancora: è giusto scuotere con parole anche molto forti adolescenti distratti da altre priorità? Oppure questi ragazzi sono soltanto persone in difficoltà che vanno capite e aiutate? Il dibattito è aperto e in questa pagina, dopo l’editoriale di Luigi Ballerini del 27 giugno ("Il successo scolastico? Per i ragazzi non può essere tutto") e quello, assai commentato, di Ferdinando Camon del 7 luglio ("Ma la bocciatura è peccato"), vengono ospitate opinioni contrapposte che però hanno una comune preoccupazione: la crescita di studenti che sui banchi di scuola imparino a disegnare e a realizzare un progetto di vita e non solo un rendimento didattico accettabile. Perché i giudizi possono essere più o meno severi, ma quel conta davvero è la crescita integrale delle giovani generazioni e il processo educativo che stanno attraversando.Perché è un errore
Ma dietro quei brutti voti c’è un concorso di causedi Sandro Lagomarsini Un parroco veneto tuona dal pulpito contro i bocciati, additati come peccatori verso sé e verso gli altri. Ferdinando Camon su questo giornale approva la predica padovana e ne spiega il valore positivo. L’«anàtema» mi ha lasciato perplesso, l’interpretazione non mi ha convinto. Mi pare che il richiamo assomigli al grido "Abbasso il vizio, viva la virtù", e dunque a quelle medicine a spettro largo che lasciano indisturbati tanto le cause come i sintomi delle malattie. Presumo che il parroco padovano parlasse solo degli studenti delle superiori. Fin qui nessun novità. Anche la "Lettera a una professoressa" afferma: «Alle superiori bocciate pure...». Il messaggio però non giunge chiaro all’opinione pubblica. Da sempre le bocciature sono percepite da un popolo di ex-analfabeti come la prova di una scuola "seria" e di una selezione fatta in base a capacità, merito e impegno. Si aggiunga che l’ultima riforma, targata Gelmini, ha messo nelle mani degli insegnanti uno strumento brutale di selezione (la sufficienza necessaria in tutte le materie) che può essere usato fin dalla prima elementare. Ne sanno qualcosa i cinque bambini bocciati a Pontremoli e le migliaia di preadolescenti di prima e seconda media inferiore bocciati in tutta Italia. Peccatori in erba anche loro? Si dirà che una bocciatura alle superiori non è una tragedia e che può essere un richiamo severo ma giusto. E tuttavia c’è anche qui da discutere. Il protagonista del racconto "Le ostriche di San Damiano" ringrazia il professor Alfredo Panzini che, bocciandolo, gli ha permesso di intraprendere una fortunata carriera di ristoratore. Proprio quel professore, giudicandolo «un’ostrica» impermeabile ai richiami di un sapere «superiore», aveva fatto la sua fortuna. Ma quei tempi sono passati. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dice che le bocciature non fanno una scuola migliore. Il parroco padovano dispone di altri dati? Ne dispone Camon? Ho passato una vita a occuparmi di ragazzi appartenenti a quel 17 per cento che la scuola abitualmente perde per strada. Molti di loro, arrivati ai 18 anni, mi dimostravano che a scuola avevano sempre mangiato paglia insipida e spesso indigesta. Oggi vedo ragazzi che a 12, 10, 8 anni sono vittime di una didattica impersonale, tutta schede pre-strutturate, quesiti anonimi, esercizi e prove senza sprazzi creativi e umanità. Ma, a parte la situazione attuale della scuola, ho sempre diffidato di una classificazione di meritevoli e di reprobi basata su meriti e demeriti individuali. Come ignorare che dietro il successo scolastico dei ragazzi c’è quasi sempre l’appoggio (e le "levatacce") di padri e madri, più il coinvolgimento di compagni solidali? Perdere un anno è il segno di un fallimento. Ma ne è responsabile solo il ragazzo? Esiste, a mio parere, una alternativa per il dito puntato. Offriamo serate di studio comunitario al posto delle discoteche, corsi di approfondimento collettivo al posto dello "struscio" serale, ripassi condivisi con i "lenti" al posto dell’ambizione di primeggiare. Offriamo "Corazzate Potemkin" e "Battaglie di Algeri" al posto di "Grandi Fratelli", in spregio ai qualunquismi anticulturali fantozziani. Poi rifacciamo i conti e vedremo che certe sferzate non sono adatte a questa età della crescita e alla complessità del contesto in cui si svolge. Ultima osservazione: utilizzare un’interpretazione "borghese" (e falsa) della parabola dei talenti, significa introdurre nella discussione un ulteriore elemento di confusione, che col Vangelo non ha nulla a che fare. P.S. Camon è un amico e non si offenderà.
Perché è giusto
Noi famiglie sempre più sole nelle fatiche dell’educazionedi Elena, mamma di un "ragazzo bocciato"
Gentile direttore, sono pienamente in accordo con il parroco di Rustega e Fossalta, che ha definito peccatori quei ragazzi che si fanno bocciare (commento di Ferdinando Camon del 7 luglio, "Ma la bocciatura è peccato"). Pienamente in accordo ancor più perché madre di tre ragazzi, il più grande dei quali quest’anno si è fatto bocciare per la seconda volta. E noi come genitori, credo, non possiamo rimproverarci nulla; abbiamo tentato ogni sorta di strada, dall’aiuto al rimprovero, dalla punizione alla gratificazione, dalla parola al silenzio, dall’accoglienza all’estromissione. Senza contare tutti i denari spesi in lezioni, libri, consulenze con specialisti e via così. Sempre con il medesimo amaro risultato: la poca o quasi nulla voglia di studiare. E immagino quante altre famiglie siano in questa situazione. Quest’anno abbiamo deciso di iscriverlo presso una scuola privata (privata davvero!), dove mi auguro gli insegnanti riescano quanto meno a destare in lui un po’ di amor proprio. Ma a quale prezzo! Ma che fare altrimenti? Non c’è alternativa: oggi nessuno prenderebbe a lavorare un ragazzo di 16 anni e d’altro canto noi come genitori abbiamo il dovere di impedire a nostro figlio di perdersi, abbiamo il dovere di batterci perché nostro figlio comprenda una volta per tutte che la vita è una sola e che ci è stata donata per viverla fino in fondo con grande passione, al di là del discorso scuola. Il sacrificio non è solo nostro di genitori, ma anche degli altri due figli in termini di attenzioni e di piccole rinunce. Purtroppo però oggi, scuola compresa, non dà il giusto peso al valore educativo della promozione; anzi sempre più spesso i professori stessi dicono che in fondo non è poi un dramma la bocciatura, anzi forse è occasione per il ragazzo di maturare. Ma a me personalmente vien da pensare che è vero proprio l’esatto opposto, cioè solo attraverso un cammino scolastico regolare e serio, si può dire: il ragazzo "matura". La verità è che noi famiglie siamo sempre più sole nell’educazione dei figli, nel bene e nel male; in una società in cui cuore e pensiero non sono in sintonia e in equilibrio c’è ben poco da fare, soprattutto per quei ragazzi, che più di altri, si attardano sul sentiero della vita per mille motivi diversi. Ce ne vorrebbero di voci, e di anime, come quella del sacerdote di Rustega e Fossalta che raccontino la verità a questi figli smarriti, che gliela gridino in faccia senza remore, facendoli sobbalzare seriamente, che la vita è cosa seria e va vissuta con sentimento, con forza, con nobiltà affinchè «le idee, ben animate dalle passioni, divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente». (U.Galimberti, L’ospite inquietante, pag. 56). Io sono convinta come madre di dover continuamente essere di esempio ai miei figli, spronandoli a non indugiare, a non attardarsi per strada, a non pensare che ciò che non ho fatto oggi posso benissimo farlo anche domani, perché non so se ci sarà un domani, e non tutto ciò che faccio va remunerato o premiato, ma c’è anche un "lavoro" che va fatto e basta. Io come madre e mio marito come padre, noi come famiglia, ma noi come famiglia abbiamo bisogno che anche che chi naviga intorno ai nostri ragazzi abbia il coraggio di prendere una posizione e che si accolli una volta per tutte la fatica di educare. È troppo comodo dire: "Pazienza, ci vuole tanta pazienza, vedrete che il figliolo maturerà"… alla fine ha finito per crederlo anche mio figlio.
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