venerdì 12 ottobre 2018
Le Camere danno l'ok al Def. Pensioni, tornano le finestre. Contro le crisi bancarie più soldi al Fondo di garanzia.
Blitz manovra, forse già lunedì il varo. Misure-chiave al via da aprile
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La strategia è stata concordata tra i due vicepremier e comunicata da Conte al Colle mercoledì: anticipare il varo della manovra, forse già a lunedì, un vero e proprio 'blitz' rispetto alla scadenza ufficiale (20 ottobre) con l’obiettivo di andare oltre le macrocifre su deficit e Pil e presentare le misure nel dettaglio, per consentire ai mercati (ieri lo spread è tornato su a 304 punti) e all’Ue un giudizio «nel merito». La conferma ufficiale arriva da Luigi Di Maio dopo una giornata di ipotesi: «Ora andiamo in Cdm e l’Europa capirà, indietro non si torna, facciamo quello che i cittadini ci hanno chiesto. Altrimenti la democrazia sarebbe svuotata. Ora è al governo chi ha il popolo dalla sua parte e questa gente (i critici, i giornali, le autorità indipendenti, le cancellerie europee, ndr) se ne deve fare una ragione».

È la risposta, forte ma in realtà non precisa fino in fondo, alle voci delle ultime 48 ore: le misure simbolo - Reddito e pensione di cittadinanza e 'quota 100' - andranno in vigore subito, a gennaio, oppure a marzo-aprile (comunque prima delle Europee) per attenuare l’effetto sui conti? Questione in parte di lana caprina, perché inevitabilmente interventi di spesa hanno bisogno di tempi tecnici di attuazione, per altra parte decisiva perché la credibilità del Paese, nelle prossime settimane, si può giocare anche sulle sfumature contabili. Su questo punto l’esecutivo non dà ancora una risposta, e nemmeno la dà la risoluzione di maggioranza che ieri ha dato il via libera alla Nota di aggiornamento al Def e alla deroga triennale alla regola del pareggio di bilancio. Tanto è vero che ieri si parlava di frizioni e tensioni insistenti tra M5s e Tesoro sull’unico intervento che potrebbe entrare in vigore il primo gennaio: la pensione di cittadinanza a 780 euro.

Per il capogruppo M5s al Senato, Massimo Patuanelli, il quadro è quasi definito: «Per le principali misure ci vorrà un trimestre, forse uno in più...». Obiettivo aprile 2019, un mese prima dell’Eurovoto. Il 'blitz' di lunedì prossimo non può essere dissociato da una curiosa coincidenza. Il lavoro decisivo di limatura del ddl Bilancio e del decreto fiscale (e in teoria anche dei 12 ddl collegati alla manovra) avviene in assenza di Conte (impegnato in Eritrea ed Etiopia) e Tria (in Indonesia al meeting del Fondo monetario). Ma tutto è pensato perché il premier, al prossimo Consiglio Ue, possa sventolare un testo finito e non cornici vuote. «I conti sono in ordine, l’Italia non sarà più fanalino di coda Ue», ha esultato ieri il premier commentando il voto sul Def del «Parlamento sovrano».

Poco prima, il presidente del Consiglio aveva ricordato su Facebook che negli ultimi giorni sia il segretario al Tesoro degli Usa, Steve Mnuchin, sia un manager di Jp Morgan, Nick Gartside, hanno promosso la manovra italiana. Intanto, come rivendicato da Di Maio e Conte, ieri alla Camera e Senato è stato superato lo scoglio dell’approvazione della Nota di aggionamento. Il sì arriva da 331 deputati e 161 senatori, maggioranza assoluta che è servita soprattutto nel voto con cui il Parlamento autorizza il governo a sospendere dal 2019 al 2021 il rientro del deficit.

Da qui a lunedì di nodi ne restano. Sulla 'pace fiscale' sembra prevalere la linea M5s, con la scelta di cancellare completamente le cartelle sotto i mille euro (non solo le more, ma tutto l’importo dovuto) aperte tra il 2000 e il 2010. Il tetto resterebbe di 200mila euro, ma non è chiaro se si sceglierà la strada del potenziamento del ravvedimento operoso. Assodata la scelta di diminuire le sanzioni nella prima fase di sperimentazione universale della fattura elettronica. Per quanto riguarda 'quota 100', l’attenuamento dell’impatto finanziario potrebbe essere ottenuto tramite il ritorno delle 'finestre trimestrali', mentre è ancora aperto il cantiere dell’età per l’assegno di vecchiaia. Si fa strada inoltre l’idea di rafforzare il Fondo centrale di garanzia per le piccole-medie imprese, una sorta di salvagente nel caso nuove crisi bancarie prodotte dal ribasso dei titoli nel loro portafoglio possano portare a una stretta del credito.

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