martedì 12 marzo 2013
​In Lombardia 294 impianti producono 238 Mw di energia elettrica. Cremona è la provincia leader, seguita da Brescia, per queste fonti rinnovabili rispettose dell'ambiente.
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Duecentonovantaquattro impianti per quasi 238 megawatt di corrente elettrica prodotta: il 40% sul totale nazionale. Sono i numeri degli impianti di biogas oggi funzionanti in Lombardia, così come censiti  dalla Direzione agricoltura del Pirellone. La provincia che ne vede attivi il maggior numero, 117, è quella di Cremona. A distanza seguono Brescia (54), Lodi (48) e Mantova (32). Fanalini di coda Pavia (22), Bergamo (11), Milano (9) e Sondrio. Quest'ultima, con un solo apparato funzionante. D'altronde, spiega Marco Trevisan, direttore dell’Istituto di chimica agraria e ambientale all'Università cattolica di Milano, “si tratta di una risorsa strettamente connessa agli allevamenti zootecnici, di cui abbonda la nostra pianura”. Ben lo sa la Regione, che il biogas lo sta promuovendo dal 2004. Gli strumenti di riferimento sono i “Programmi regionali di investimento per le produzioni agroenergetiche e per il contenimento del carico di azoto”, seguiti dal “Programma straordinario per l’attuazione della direttiva nitrati”. E cioè 80 milioni, nell’ultimo decennio, messi a disposizione delle aziende agricole locali per promuovere la digestione anaerobica, i relativi trattamenti di valorizzazione/contenimento dell’azoto e gli interventi per prevenire le emissioni in atmosfera. “Le ultime azioni incentivanti, quelle del 2012 - spiegano dalla Direzione regionale di settore -, promuovono  la gestione degli effluenti d’allevamento (i liquami, ndr) in forme aggregate tra gli agricoltori”. Ma contemporaneamente si assiste a un’inversione di tendenza: rispetto al passato, ora proliferano gli impianti di modeste dimensioni. “Piccolo è bello”, scandisce il docente della Cattolica. A dargli ragione, le nuove tariffe del Decreto ministeriale 6 luglio 2012. Quelle che dispongono gli “incentivi per energia da fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche”, vale a dire il pagamento di ogni chilowatt nelle mani di chi l'ha prodotto. Il nuovo testo di legge premia infatti la produzione elettrica degli impianti compresi entro i 300 chilowatt, alimentati da sottoprodotti zootecnici. E, d’altro canto, aiuta in misura decisamente minore quelli di grandi dimensioni, che “mangiano” obbligatoriamente anche mais e simili. Non è un caso: queste “coltivazioni energetiche” – così vengono definite – devono essere necessariamente contemperate con l’agricoltura tradizionale. Ma non solo: il loro prezzo sta aumentando non poco, divenendo dunque meno conveniente. Al contrario, i reflui zootecnici sono sempre lì. Pronti per divenire da problema a risorsa. Già, ma cos’è il biogas? Questo termine indica una miscela di metano e anidride carbonica che proviene dalla cosiddetta “digestione anaerobica”, processo chimico caratterizzato dall' assenza di ossigeno. Lo attuano i “digestori”, quei cupolotti che qua e là compaiono accanto alle aziende agricole. Nei piccoli impianti possono essere esclusivamente alimentati da liquami d'allevamento, in quelli più grandi sono necessarie anche altre biomasse: piuttosto diffuso il mais. In ogni caso, generano elettricità e calore. “Ma la sfida del futuro – ne è certo Trevisan – sarà quella di utilizzare questa risorsa come combustibile domestico. Per accendere il fornello o alimentare l’auto, ad esempio”.Eppure, il procedimento della digestione anaerobica non si limita a produrre energia rinnovabile. Piuttosto, appare come un meccanismo che rende l'agricoltura sempre più sostenibile. E cioè, precisa la competente Direzione della Regione, “virtuosa sotto i profili ambientale, economico e sociale”. Il processo permette infatti di abbattere le emissioni e gli odori dei reflui animali, ma anche di ottenere il cosiddetto “digestato”: un concime chimico a costo zero per l'azienda che lo produce. Tra l'altro, rispetto alla materia di partenza, migliore per una corretta gestione dei nitrati: sostanze che si originano dalle deiezioni zootecniche, secondo una direttiva comunitaria riversabili in acque e terreni solo entro certi limiti. Il biogas, dunque: una vera e propria risorsa  per la pianura Padana. (Ha collaborato Emanuele Cabini)
FOTOVOLTAICO“Tutti parlano di ecologia. E noi, come comunità cristiana, dovevamo iniziare a dare qualche segno: il rispetto del creato passa anche per queste cose. A maggior ragione per il fatto che ci troviamo a Milano, e una zona famosa per essere degradata”. A parlare è don Mario Longo, nella metropoli parroco della Santissima Trinità. Zona Sarpi. Chinatown, tanto per intenderci. Lì, sulla chiesa edificata nel 1968 (“per alcuni un po’ fredda, per altri essenziale”), da 20 mesi esistono 360 pannelli fotovoltaici spalmati su 600 metri quadri (“per dimensioni costituiscono il secondo impianto in città, dopo quello installato dal Museo della scienza e della tecnica”). Ci sono ma non si vedono, perché coperti da “vasche” in cemento posizionate sul tetto. “Dalla loro attivazione hanno già prodotto 190mila chilowatt – rivela il parroco -, e le stime ci dicono che hanno evitato l’emissione di anidride carbonica nella misura di 90mila chili”. Una soddisfazione, per il sacerdote che in oratorio ha pure realizzato una pista di skate in cemento catalitico che assorbe lo smog. Ma come funziona esattamente l’impianto fotovoltaico? Don Longo è preparatissimo: “un contatore segna l’energia che produciamo. Su quella, ci viene riconosciuto il cosiddetto incentivo (un contributo per ogni singolo chilowatt, ndr). Poi esiste un ulteriore pagamento per la corrente generata da noi ma non utilizzata, e dunque venduta alla rete. Se invece c’è nuvolo e i pannelli non rendono, saremo noi ad attingere energia dall’esterno. Sulla corrente prodotta, sia utilizzata che venduta, paghiamo l’Iva. Sull’incentivo invece altre tasse”. E’ il meccanismo del “conto energia”, il programma europeo che favorisce la produzione di elettricità da pannelli fotovoltaici. Viene aggiornato ogni 2 anni, e quello attuale, il quinto, prevede vantaggi minori rispetto al passato. In ogni caso, privilegia piccoli impianti proprio come accade con il biogas.  Ma don Longo può star tranquillo: il suo ha iniziato a funzionare sotto la vigenza del quarto conto energia, dunque più incentivante. Così, le valutazioni del parroco sono altre: “per installare i pannelli – annota - abbiamo speso 400mila euro. Ogni anno ne risparmiamo circa 40”. Da qui la sua conclusione: nelle parrocchie, questi sistemi vanno incoraggiati. I soldi prima o poi ritornano. Intanto, ci abbiamo guadagnato in salute”.
BIOIMPIANTI TERMICIUn bando, per aiutare i Comuni mantovani che decidono di sostituire la vecchia caldaia con una nuova a cippato o a pellet. “Due tipologie di biocombustibili - spiega Francesco Dugoni, direttore di ‘Agire’ (Agenzia per la gestione intelligente delle risorse energetiche) ed estensore del documento – che si presentano rispettivamente sotto forma di cilindretti o in scaglie”. E’ l’ultimo progetto scaturito dall’accordo quadro di sviluppo territoriale “Foragri” (Fonti rinnovabili in agricoltura) siglato nel 2003 tra Regione Lombardia e provincia di Mantova: pubblicato lo scorso 28 gennaio e aperto fino al mezzogiorno del 31 maggio, prevede un finanziamento di 130 mila euro a cui se ne aggiungeranno altri 85mila. Ed è l’unico in Italia.  Sulla sua importanza, interviene lo stesso Dugoni: “quando vengono utilizzati, i biocombustibili emettono nell’aria la quantità di carbonio che avevano precedentemente assimilato con il processo di fotosintesi clorofiliana: nella sostanza, rilasciano la stessa anidride carbonica precedentemente sequestrata, evitando così l’effetto serra”. E salvaguardando il pianeta.
 
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