venerdì 27 agosto 2010
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«Oggi ho capito che la vera rivoluzione è Cristo». Fra i visitatori del Meeting, ieri, per la prima volta, c’è n’era uno che tanto ha sofferto e tanto ha fatto soffrire in nome di un bene tanto perfetto da diventare ideologia e violenza. Maurice Bignami è stato il capo militare di Prima Linea, «e come tale - racconta - mi sono assunto la responsabilità di tutti gli omicidi commessi, e sono davvero tanti, purtroppo». I suoi anni giovanili li vissuti fra la Francia e Bologna, travolto come in un’onda di piena da quella follia ideologica, che si è portata via prima i suoi genitori, poi anche la sua prima compagna, scomparsa in un conflitto a fuoco. Poi, inizia la sua seconda vita, già in carcere. Nacque un movimento per la dissociazione che vide in prima fila suor Teresilla (l’angelo delle carceri, scomparsa poi in un incidente stradale), e uomini politici come Carlo Casini, primo firmatario alla Camera della legge Gozzini, che autorizzò misure alternative alla pena detentiva.Nell’arrivo di Maurice al Meeting c’entra un po’ anche il nostro giornale perché è una sua intervista di tre anni fa ad "Avvenire" che ha messo in moto i cuori, stando al titolo dell’edizione di quest’anno: «Avevo parlato dell’insopportabilità della presenza cattolica in università nel ’77, che in realtà metteva a nudo l’inconsistenza della nostra proposta. Pari pari come accade oggi, che la Chiesa è sopportata solo se parla di altro, se non propone Cristo e non fa ingerenza. Mimmino, un impiegato di Roviano, vicino Roma, mi ha scritto, ne è nata un’amicizia straordinaria ed eccomi qua».Arriva Carlo Casini. Con Bignami non si erano mai conosciuti prima, ma fra i due scatta un abbraccio lungo un quarto di secolo, tanto tempo è passato da quella prima possibilità offerta a chi gettava le armi e lasciava la lotta armata. Maurice fatica a infilare le parole, la commozione è palpabile.Meeting, in fondo vuol dire incontro, no?Eh, già. Sono commosso perché è grazie a persone come Carlo Casini che ho potuto avere una nuova vita, e oggi ho una moglie, tre figli e una speranza su cui costruire. Fu un incontro con una classe politica seria, che aveva desiderio di capire, di chiudere un’esperienza infausta. Ci misero davvero il cuore. Vorrei ricordare anche Flaminio Piccoli, col quale andò a parlare mia moglie a nome di centinaia di ex-terroristi in carcere, e anche Francesco Cossiga. Fu così che tutta Prima linea, tre quarti delle Br e tutto l’arcipelago della contestazione violenta avviarono a metà anni ’80 la fine dalla lotta armata.Ma perché è qui, oggi?Non certo perché sono più buono, Dico anzi per paradosso che, almeno nelle intenzioni, ero più buono prima, come lo sono tutti i giovani. Anche se poi io ho finito per uccidere. Sono qui, invece, perché ho capito che l’idea di fare il bene prescindendo dalla realtà, ossia dalla verità e in definitiva da Cristo, è una follia. Ma non c’è merito da parte mia, se non quello di aver tenuto il cuore aperto agli scappellotti che mi hanno dato preti e suore, tanto non ne avevo conosciuto uno prima, tanti ne ho incontrato da un certo punto in poi. Scappellotti prima per farmi cambiare strada, poi, ancor più forti, per farmi uscire da un passato che mi perseguitava, ricordandomi che Cristo mi ama.Ma Dio ama anche quelli che hanno perso la vita, e i parenti delle vittime.Certamente. Ma per paradosso forse è stato più facile per noi, che eravamo disperati e avevamo fallito del tutto, aprire il cuore. Per loro, lo capisco, è più dura: c’è il rischio drammatico di rimanere prigionieri del dolore, che è anche l’ultimo legame che resta con i loro cari. Ma la via d’uscita per tutti, anche per loro, è la speranza che diventa fede.Che cosa può fare per loro?Pregare. Perché la Grazia che ha toccato me liberi anche loro. Trovo che sia il gesto più realistico di amore, molto più di dibattiti e incontri. Si potrebbe giustamente dire "da che pulpito viene la predica". Ma io so di non essere nessuno, penso solo che i tanti nessuno che siamo solo in Cristo possono trovare pace.Sarà consapevole che non è fatta, ancora, che c’è da lottare.Altro che, più di prima. Sarebbe drammatico se avessi vissuto la follia col fuoco dentro e ora, di fronte alla Grazia, mi abbandonassi all’ignavia, incrociando le braccia. Sarebbe terribile, sarebbe come una bestemmia per uno come me che ha avuto tutto gratis. Sarebbe uno scivolo verso l’inferno.Don Giussani nell’ultimo discorso al Meeting disse: "Auguro a me e a voi di non stare mai tranquilli, mai più tranquilli".Non lo sapevo, ma è proprio così.Com’è stato il suo impatto col Meeting?Ho visto tanti giovani impegnati. Impressionante. E pensare che la generazione impegnata eravamo noi…
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