venerdì 19 marzo 2010
L'ex terrorista, membro di Prima Linea, faceva parte del commando che il 19 marzo di 30 anni fa uccise il giudice Guido Galli nei locali dell'Università statale di Milano:spinto dai sacerdoti ho chiesto aiuto a Dio.
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«Sì, mi considero fortunato. Grazie all’incontro con tanti sacerdoti ho scoperto il perdono di Dio. Poi, grazie alla lungimiranza di alcuni politici, ho avuto il perdono dello Stato. Il perdono di chi ho fatto soffrire direttamente l’ho avuto da qualcuno, da altri ancora no. Certo che lo vorrei, ma non lo pretendo. Posso solo pregare per loro». Maurice Bignami 30 anni fa uccise a Milano il giudice Guido Galli. Era il 19 marzo 1980 e quell’omicidio non fu né il primo né l’ultimo del gruppo di Prima Linea di cui Bignami era uno dei capi. Poi nel 1981 l’arresto, il carcere, la dissociazione. E, come dice lui, grazie all’incontro con sacerdoti come don Luigi Di Liegro o padre Paolo Bachelet, fratello del vicepresidente del Csm ucciso dalle Br, la scoperta di Dio e un cammino di servizio per gli ultimi. Prima come portiere all’ostello per barboni della Caritas di Roma, oggi come responsabile di una casa famiglia, sempre della Caritas, per anziani in gravi difficoltà.Bignami, chi era allora per lei Guido Galli?Eravamo consapevoli che era un padre di famiglia. Ma in quel momento lui era un nemico, uno dei punti della rete di comando da attaccare e distruggere. Un simbolo. Colpire lui sarebbe stata una cosa efficace rispetto a un disegno rivoluzionario. E oggi?È una persona che abbiamo ucciso.Quando si accorge di aver ucciso una persona cosa cambia in lei?Cambia che chiedi aiuto.A chi?A Dio. Gli chiedi di essere perdonato perché ti senti sommerso da questo senso di colpa. E cosa succede?Io non avevo mai incontrato un prete prima del 1982. Nel momento in cui finisco in carcere non faccio che incontrare preti. All’inizio in questi incontri mi prendono a "sberle" per portarmi al pentimento. Ed è un precipitare verso il riconoscimento della propria totale e assoluta nefandezza e bisogno di perdono. E la domanda di perdono la fai a Dio. Ma questo periodo è stato brevissimo. Perché questi sacerdoti mi prendevano a "sberle" perché la smettessi di piangermi addosso. E che cominciassi, invece, a ringraziare il Signore del dono che mi aveva fatto.Pensa di essere stato perdonato da questo Stato? Ne è riconoscente?Io sono grato ai politici di quell’epoca che collaborarono senza guadagnarci nulla. Forse quel periodo in cui abbiamo lavorato per le leggi sulla dissociazione e sull’umanizzazione del carcere, è stato uno dei rarissimi momenti in cui tutte le forze politiche, e anche noi in carcere, hanno lavorato per il bene comune.Ci guadagnava il Paese.È vero. E anche noi. Sono contento che per un certo periodo mi è stato concesso di fare qualcosa di positivo. Costruire una via di uscita per quelle migliaia di ragazzi che erano rimasti implicati nella nostra storia, che altrimenti sarebbero ancora in cella. Ma anche smontare il "giocattolo" pericoloso dei comunismo rivoluzionario.In tutto questo percorso non manca l’ultima tappa, il perdono dei familiari?Certo che mi manca. Ma cosa posso fare? Io prego. Credo che abbia più senso che io una volta a settimana vada a pregare un’ora davanti al Santissimo perché i parenti delle vittime che non hanno ancora trovato la pace siano anche loro graziati, così come me. Qualunque altra cosa sono chiacchiere.Se un familiare le chiedesse di incontrarla?Anche subito. L’ho fatto. Anche per sentirmi dire "ti darei fuoco con la benzina". Certo il loro perdono completerebbe il mio percorso. Sarebbe una grande gioia. Vorrebbe dire che ne siamo venuti fuori tutti. Il paradosso è che non sono io a soffrire, io che sono la causa del loro male.Ma non toccherebbe a lei il primo passo?Io l’ho fatto e continuo a farlo. Accettare di fare questa intervista è anche questo un passo.Chi ricorda di più?Padre Bachelet è stato per me un amico. Ha trasformato la sua sofferenza in un’occasione per trasformare me.Dio le chiede qualcosa per meritare questo perdono?Probabilmente mi ha usato perchè potessi aiutare altri a venire fuori dall’inferno in cui stavano. È un privilegio lavorare in questi contesti. Però uno Stato intelligente mi avrebbe chiesto di lavorare per i servizi sociali per essere utile al Paese. Il fatto che questo non sia avvenuto è uno dei tanti segni che siamo ancora un Paese a metà.Ci ripensa mai a quel 19 marzo?Non si cancella nulla. E la ringrazio di aiutarmi a ricordare.Cosa c’era a Milano in quel giorno?C’era l’inferno, il luogo in cui Dio non c’è. Dio è così attento alla tua libertà che non c’è là dove non vuoi che lui ci sia. L’inferno è il "no" assoluto.Ma lei è riuscito a uscirne.Sono stato ripreso per la collottola. Ma Dio è sempre stato vicino a me, e attendeva solo che io aprissi il mio cuore.
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