venerdì 17 aprile 2015
La strategia di StanleyBet: a giudizio chi sequestra i punti raccolta illegali.
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«Una vera e propria iniziativa intimidatoria ». Così il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti definisce la strategia di StanleyBet, una delle maggiori società internazionali di scommesse, di citare in giudizio il personale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli e gli uomini della Guardia di Finanza che operano il sequestro dei suoi punti di raccolta considerati illegali. Rispondendo ad un’interrogazione in commissione Finanze della Camera, presentata dai deputati del Pd Marco Causi e Federico Ginato, il sottosegretario ha rivelato che «sono ormai giunti a circa 230 atti di diffida e 19 atti di citazione in giudizio per risarcimento dei danni». In realtà, come risulta ad Avvenire, i militari delle Fiamme gialle raggiunti da una citazione sarebbero già una settantina. L’hanno ricevuta direttamente in caserma i finanzieri che hanno firmato gli atti investigativi. Un’iniziativa che, assicurano ambienti della Finanza, non ha cambiato minimamente l’azione di contrasto all’illegalità, prova ne è il fatto che i sequestri stanno aumentando (vedi altro articolo). Una linea confermata da Zanetti. «Il governo assicura il pieno sostegno a funzionari e militari che si ritrovano aggrediti – spiega ad Avvenire –. Lo Stato è loro vicino, non lascerà solo chi non ha fatto altro che applicare la legge. Ci saremo anche in sede difensiva, con l’Avvocatura dello Stato». Tutto parte dall’esistenza in Italia di circa 7mila punti scommesse irregolari rispetto ai 12.700 delle reti dei concessionari. Sulla base delle norme vigenti «che sanzionano anche penalmente chi vende in Italia scommesse in assenza di concessione», si legge nella risposta all’interrogazione, «le autorità preposte ai controlli hanno preso ad irrogare sanzioni nei riguardi dei punti fisici di offerta di scommesse », i cosiddetti Ctd. In particolare quelli «contrattualizzati » proprio con Stanley-Bet, società con sede a Liverpool. Sanzioni impugnate davanti ad alcuni giudici che hanno investito della questione la Corte europea di giustizia che nel 2012 ha sentenziato che la norma italiana non era compatibile con quelle europee, in quanto discriminatoria. In pratica si riconosceva la prevalenza del libero mercato. Questo, si legge ancora nella risposta del ministero, ha di fatto reso «spuntati e inefficaci gli strumenti di contrasto alla proliferazione in Italia di punti di offerta fisica di raccolta di scommesse affrancate dal quadro regolatorio nazionale». In pratica si sanciva l’esistenza di due 'circuiti' di reti, col secondo, quello fuori dalle regole nazionali, assolutamente avvantaggiato. La conferma è arrivata quando, riaperte le gare per le concessioni, StanleyBet «neppure ha fatto domanda di partecipazione » parlando di «condizioni discriminatorie». E questo per poter nuovamente far ricorso alla Corte Ue e «perpetuare quel meccanismo di sostanziale salvacondotto che opera attraverso l’equivalenza 'discriminato uguale non punibile' che pure, involontariamente, è stato creato dalla stessa Corte di Giustizia». Che però con una sentenza del 22 gennaio 2015 ha «stabilito che quella società estera non è stata discriminata». Caso chiuso? Tutt’altro. Pendono altri ricorsi alla Corte Ue mentre aumentano le citazioni contro funzionari e agenti. E StanleyBet non solo non ha aderito al discusso 'condono' contenuto nella Legge di stabilità, ma ha fatto ricorso al Tar proprio contro il provvedimento. Il motivo, soprattutto delle citazioni, denuncia Zanetti, è «tenere salde le fila di reti che - altrimenti sfaldandosi - potrebbero non credere più al granitico assunto secondo il quale il modello organizzativo sopra descritto è vincente e lo sarà per sempre». E dall’altra «perpetuare l’ipotesi di una discriminazione ad infinitu mall’ombra della quale poter poi via via invocare il 'diritto' alla non soggezione alle norme sanzionatorie nei confronti di chi offre e vende prodotti-scommessa in assenza di concessione ed autorizzazione». E questo si concretizza in «una aggressività nella incalzante pretesa della totale immunità». Cioè gli atti di diffida e le citazioni in giudizio. E questo, accusa il sottosegretario, per «riuscire progressivamente a mettere sotto scacco l’intera azione amministrativa dell’Agenzia e delle Forze di Polizia, e a paralizzarla, in modo da coronare anche nei fatti 'l’effetto salvacondotto'».
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