martedì 11 dicembre 2012
​L'accusa per Francesco Bidognetti è “disastro ambientale”. Il boss è stato raggiunto in carcere dal provvedimento del tribunale. Avrebbe fatto interrare negli invasi 800mila tonnellate di scarti, gran parte in arrivo dall'Acna di Cengio. Previsti effetti nocivi sul territorio fino al 2080.
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Francesco Bidognetti, il boss storico del clan dei casalesi, aggiunge alle sue infamie anche quello di avvelenatore della terra e dell’acqua nell’hinterland Nord di Napoli. Un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha riconosciuto la responsabilità diretta di Bidognetti nello smaltimento illecito di rifiuti tossici dal Nord in Campania e lo scorso venerdì al capoclan, in carcere dal 1993 a Parma al 41bis, è stato notificato il provvedimento del Tribunale per le accuse di disastro doloso e avvelenamento delle falde acquifere aggravate dal metodo mafioso e dall’aver agevolato il clan casalese. È la prima volta che un capo della camorra è raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare per reati ambientali. Altre cosche, per lo più collegate al cartello casalese, sono state negli anni individuate e smantellate, i capi e i componenti accusati e incarcerati, ma mai un boss e per giunta ritenuto "storico" in quanto primo successore, con Francesco Sandokan Schiavone, di Antonio Bardellino e Mario Iovine, fondatori di quello che è il più moderno e aggressivo clan camorristico della Campania.Secondo i magistrati partenopei Bidognetti, in concorso con altri, avrebbe smaltito illegalmente tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 in alcune discariche di Giugliano in Campania, precisamente in località Scafarea, residui pericolosi provenienti da aziende del Nord attraverso la società "Ecologia 89", che dava una copertura formale all’illegale smaltimento di rifiuti. Un’attività gestita in regime di monopolio e fondata sullo sfruttamento delle discariche di Giugliano in Campania riconducibili a Chianese Cipriano, 61 anni, arrestato nel 2006 e tuttora ai domiciliari. Negli invasi non impermeabilizzati sono state interrate 806.590 tonnellate di rifiuti, di cui oltre 30mila provenienti dalla piemontese Acna di Cengio. Le 57mila tonnellate di percolato formatosi negli anni sarebbero finite nel sottosuolo e poi nelle falde acquifere compromettendo la salute umana: il picco della contaminazione della falda, è stato accertato, sarà raggiunto nel 2064. Gli esperti della Procura hanno calcolato che la contaminazione da percolato produrrà effetti nocivi sulla popolazione, in particolare sui bambini, e sull’agricoltura, in zona ancora molto praticata, fino al 2080.La Dia ricostruisce le responsabilità di Cipriano Chianese, Gaetano Cerci e Giulio Facchi (ex subcommissario all’emergenza rifiuti), nei cui confronti il giudice non ha ritenuto sussistere le esigenze cautelari. Chianese e Cerci sono considerati, insieme a Bidognetti, gli «organizzatori della programmazione ed esecuzione criminale». Chianese era titolare della Setri e della Resit srl, società che gestivano le discariche ubicate su un’area di 21,4 ettari. L’inchiesta avviata nel 2006, di cui i provvedimenti attuali sono gli ulteriori sviluppi, evidenziava il suo ruolo nei Casalesi e i suoi legami con il sub commissario Giulio Facchi da cui otteneva autorizzazioni definite dal pm Federico Cafiero de Raho «abnormi e/o illecite». Le indagini hanno anche confermato le intimidazioni fatte da Chianese a Facchi affinché il Commissariato per l’emergenza erogasse sostanziosi fondi non dovuti alle sue aziende. Nel 2002 Chianese bloccò i suoi impianti di smaltimento, mettendo Napoli in ginocchio a causa dell’accumularsi di rifiuti in strada, riuscendo ad ottenere dalla struttura commissariale l’emanazione di un’ordinanza che lo autorizzava ad aprire attraverso la Resit un’altra discarica: attività che fruttò alla cosca 10 milioni di euro.
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