martedì 30 novembre 2010
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Nel marasma politico italiano irrompe il ciclone W-Day. Il giorno delle divulgazioni di Wikileaks diventa subito fattore di scontro. Solo l’ultimo in ordine temporale, nel calderone già pieno di frizioni da pre-crisi di governo. Pier Luigi Bersani coglie subito al balzo l’occasione per tornare a chiedere le dimissioni di Berlusconi, e con lui l’Idv. Ma all’opposizione non conviene speculare perché in futuro potrebbero uscire pure cose «di interesse per Bersani», è l’invito alla prudenza formulato dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, che preferisce calcare i toni sulla portata generale della vicenda, esortando a «reagire compatta» tutta la «comunità internazionale che vuole migliorare il mondo e non distruggerlo, come vuole Assange», il fondatore di Wikileaks. Si distingue la posizione di Pier Ferdinando Casini: «Chi ha a cuore l’Italia non utilizza il fango», dice il leader dell’Udc pur premettendo di aver «contestato la politica estera di Berlusconi» Anche per il finiano Italo Bocchino, invece, la «cosa che più colpisce è la diffidenza verso il nostro premier».Anche in questa vicenda, comunque, l’opposizione muove a partire dalla reazione di Berlusconi. «C’è poco da ridere – ha detto Bersani commentando la risata attribuita al premier sulle indiscrezioni uscite sul sito –. Quel che emerge conferma in modo inequivocabile che il presidente del Consiglio con il suo comportamento e le sue decisioni nuoce alla reputazione dell’Italia nel mondo». Dunque, «occorre cambiare pagina». Attacca anche il vice-segretario Enrico Letta: «Mi fa piacere che le valutazioni del centrosinistra sono le stesse dell’amministrazione Usa. Un motivo in più per votare la sfiducia il 14 dicembre». Ancor più duro è Antonio Di Pietro: per il leader dell’Idv, da Wikileaks arriva solo la conferma che l’Italia è governata da «un signore anzianotto che sta poco bene, che è incapace, inadatto a rappresentare il Paese». E sul concetto di rappresentanza, ma a parti inverse, insiste anche Alfredo Mantovano: per il sottosegretario all’Interno «Bersani non può candidarsi a premier se è pronto a infangare il buon nome della nazione».Fa sentire la sua voce da Doha, in Qatar dove si trova in missione, il ministro Frattini. «Non credo che al Pd convenga speculare», ha mandato a dire il titolare della Farnesina, aggiungendo che «presumibilmente» usciranno «altri elementi riguardanti anche altri governi italiani, non solo quello Berlusconi». Gli ha replicato a stretto giro Luigi Zanda: «In tutti i Paesi del mondo – ha osservato il vicecapogruppo del Pd in Senato – il ministro degli Esteri occupa il suo tempo a tutelare gli interessi del Paese e non a polemizzare, addirittura in via preventiva, con l’opposizione». Più distaccata è l’analisi di Walter Veltroni. L’ex segretario del Pd indossa i panni dell’"americano" e, dopo aver premesso che «si sapeva» che Washington non gradisse «un Paese che ha un legame con Putin e Gheddafi», ne conclude che «siamo su una strada sbagliata e di questa il premier porta una grandissima responsabilità». Sibillino Massimo D’Alema: «La cosa non è finita». Anche per lui, tuttavia, le rivelazioni sull’Italia sono cose che «si sapevano già».Ricadute sulla scena nazionale a parte, la preoccupazione prima di Frattini è però per il quadro internazionale: se in seguito alla diffusione di questi dossier venisse a mancare la fiducia fra gli Stati, «sarebbe la fine» delle trattative internazionali sulle aree di crisi, prevarrebbe la diffidenza e «si cadrebbe nello scontro, forse nelle ostilità». Il nostro ministro degli Esteri avrà già oggi una prova di tenuta delle relazioni internazionali a Dubai, dov’è giunto in serata per la conferenza internazionale per gli investimenti in Afghanistan (presente anche Karzai, il presidente «paranoico» nei file di Wikileaks). Da qui la sua proposta di creare, come fu fatto contro il terrorismo, «un’alleanza globale per far sopravvivere la diplomazia, per non abbandonarsi alla cultura del sospetto reciproco».
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