Ultimo saluto stamani per
Ettore Bernabei, nella basilica di Sant'Eugenio, a Roma. Tra i tanti presenti ai funerali anche diversi protagonisti della Rai di ieri, come Sergio Zavoli e Gianni Bisiach. La cerimonia religiosa è stata presieduta da monsignor Mariano Fazio, vicario generale dell'Opus Dei, e concelebrata da una quindicina di prelati, tra cui monsignor Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, monsignor Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata, e monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
"La tv può ricondurre miliardi di
uomini e donne sulla via del vero e del giusto". Nella lectio
magistralis tenuta alla Pontificia Università Lateranense nel
giorno del suo 90/o compleanno, il 16 maggio 2011, Ettore
Bernabei,
storico direttore generale della Rai negli anni del
monopolio, morto domenica sera a 95 anni all'Argentario dove era
in vacanza con la famiglia, ribadiva uno dei punti di forza
della sua attività di 'grande condottiero' della tv pubblica e
poi di produttore: l'importanza di una televisione capace di
rispettare e di elevare il pubblico.
Una convinzione radicata anche nella sua educazione
cattolica.
Nato a Firenze il 16 maggio 1921, padre di otto
figli, dopo la laurea in Lettere moderne si dedica alla passione
per il giornalismo. Dal 1951 al 1956 è direttore del Giornale
del Mattino, quotidiano di ispirazione cristiana. Vicino ad
Amintore Fanfani, nel 1956 viene chiamato alla guida del Popolo,
organo della Democrazia Cristiana. Nel 1961, a 40 anni, diventa
direttore generale della Rai, che guiderà fino al 1974,
imprimendo all'azienda un ruolo da autentico servizio pubblico,
in grado di occuparsi anche "di chi è rimasto un pò più
indietro".
Sono gli anni in cui nascono approfondimenti come
Tv7
e sceneggiati ispirati ai classici della letteratura, come
l
'Odissea,
I Promessi Sposi,
I Fratelli Karamazov. Gli anni in
cui vengono realizzate serie come Gli
Atti degli Apostoli per la
regia di Roberto Rossellini, il
Mosè,
Gesù di Nazareth firmato
da Franco Zeffirelli. E ancora gli anni in cui il
il maestro
Alberto Manzi insegna a leggere e scrivere a un'Italia che nel
1960 contava ancora il 35% degli analfabeti.
"Ricordo la difficoltà - raccontava Bernabei - perché mi
trovai davanti a professionisti e venerabili dirigenti, ben più
grandi di me, che erano lì 'prestati' dalla radio e in carica
addirittura dagli anni Trenta. Oggi si parla facilmente di
'rottamazione', ma quelli erano indeformabili e inamovibili".
Tra le prime decisioni,
Enzo Biagi a dirigere il telegiornale.
"Se ne andò dopo un pò perché, mi disse, fare le cose con il
bilancino del farmacista non era il suo mestiere".Nel 1974, lasciata la direzione generale della Rai,
Bernabei
va a dirigere l'Italstat, una finanziaria a partecipazione
statale specializzata nella progettazione e costruzione di
grandi infrastrutture ed opere di ingegneria civile. Altro
passaggio cruciale della sua lunga attività, nel 1992, la
creazione della società di produzione
Lux Vide, che realizza
importanti fiction anche in coproduzione con paesi europei e con
gli Stati Uniti.
Colossale
il progetto Bibbia, 21 prime serate
prodotte fra il 1994 e il 2002 per Rai1, vendute in 140 Paesi,
in grado di coniugare rilevanza culturale, valore artistico e
grande appeal popolare. Un successo seguito da grandi
coproduzioni internazionali e dallo sviluppo della lunga e media
serialità, con titoli di straordinaria longevità e successo,
come
Don Matteo.
Pur avendo lasciato il testimone dell'attività di produttore
nelle mani dei figli Luca e Matilde, Bernabei continuava ad
appassionarsi quando parlava della Rai. "Oggi ci si entusiasma
per il web, per Google o Amazon. Ma
la tv pubblica - diceva -
è
rimasta l'unica difesa dei cittadini. Se non si usa il cervello,
se i bambini a scuola usano solo il computer e smettono di
studiare la tavola pitagorica, si finirà in mano a ciò che
raccontano i motori di ricerca e non si saprà più scegliere tra
vero e falso, giusto e iniquo, che sulla rete sono tutti sullo
stesso piano. La tv pubblica, invece, come i giornali o i libri,
può ancora raccontare un'azione come delittuosa o benefica,
aiutare a decidere cosa fare della propria vita e non finire
tutti come polli in batteria. Può ancora salvare l'umanità".
Il ricordo di padre Lombardi
Un "uomo per i valori non per il
potere, vero credente". Così padre Federico Lombardi ha
ricordato Ettore Bernabei, in un'intervista a Radio Vaticana.
"Era un entusiasta, era un uomo di una energia, di una
dinamica inesauribile, che è continuata appunto fino in età
avanzatissima, come sappiamo, ed era assolutamente consapevole e
convinto dell'importanza di impegnarsi nel campo delle
comunicazioni sociali, in particolare anche della televisione,
per l'influsso, per il contributo di formazione che questi mezzi
della comunicazione sociale danno alla formazione della
mentalità, del pensiero, della cultura popolare,
dell'orientamento delle menti dei giovani. Di questo - ha detto
padre Lombardi - lui era assolutamente consapevole e per questo
si è impegnato, in tutta la sua vita, per dare un contributo
positivo"
"Lui parlava sempre della necessità di preparare autori,
scrittori, sceneggiatori, cameraman, persone capaci, per portare
bene avanti questo impegno di grande servizio per le nuove
generazioni e per il popolo in generale, e questo sempre con un
entusiasmo assolutamente affascinante", ha aggiunto.
"E poi vorrei anche dare atto veramente alla sua testimonianza
di fede. Lui è stato veramente un credente, ma direi un credente
vero: credente in Dio, credente in Gesù Cristo, credente nella
vita eterna, credente nella vita oltre la morte. Una
testimonianza chiara, diciamo, non timida, non nascosta di
questa sua fede, integrata molto, con grande equilibrio, con
grande profondità nel suo impegno professionale, nel suo impegno
sociale, anche nel suo impegno politico in certi tempi della sua
vita. Ecco, quindi, una persona che io ammiro come testimone
credente, cattolico, di amore alla Chiesa e di amore a Dio,
attraverso il servizio concreto, in un campo affascinante e
importantissimo per la cultura di oggi e di domani, come è
quello delle comunicazioni sociali", ha concluso.