sabato 17 aprile 2010
«Finisca lo stillicidio, accordo totale o rottura». Il presidente del Consiglio vuole un chiarimento vero, profondo e avverte: «Bisogna governare, tra due settimane non si può tornare punto e a capo».
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«Ho cercato di capirlo, di assecondarlo, di convincerlo... Ma è lui a voler fare i gruppi separati, è lui a voler andare per quella strada...». Silvio Berlusconi parla, restando in piedi, davanti all’ufficio di presidenza riunito d’urgenza a Palazzo Grazioli. C’è silenzio. Attesa. «... Se fosse davvero così, se Fini non capisse, la rottura sarebbe definitiva e nessuno scenario potrebbe essere escluso. Nemmeno il voto che è un’eventualità assolutamente da scongiurare». Il Cavaliere racconta l’ultimo "faccia a faccia" con Fini in maniera quasi asettica. Senza aggettivi. Senza considerazioni personali. Poi ascolta silenzioso gli interventi che si accavallano. Sono ore di riflessione. Ore per decidere una strada e renderla ufficiale. Più tardi, quando manca una manciata di minuti alle 20, il premier, davanti alle telecamere, invita l’ex capo di An a fermarsi. «...Abbiamo approvato all’unanimità un documento nel quale invitiamo Fini a desistere» dal costituire gruppi parlamentari autonomi. «...A fermarsi per continuare insieme la grande avventura del Pdl in cui si ritrovano gli italiani che non stanno con la sinistra». È un segnale, ma non è una mano tesa. Berlusconi non concede molto. Anzi non concede quasi nulla. Perchè vuole un chiarimento vero, profondo, definitivo. Perchè – ripete nelle conversazioni più private – «non è possibile ritrovarsi tra due settimane punto a capo... Io devo solo pensare a governare». E allora, prima scandisce l’avvertimento: «Se fa i gruppi è scissione». Poi assicura: «Il governo andrebbe comunque avanti lo stesso». Uno dopo l’altro, Berlusconi usa le domande che si accavallano nell’inattesa conferenza stampa per fissare i punti fermi su cui Fini sarà costretto a riflettere. Uno su tutti. Il ruolo di presidente della Camera è compatibile con quello di capo di un gruppo parlamentare? Berlusconi scuote la testa: «No, francamente no». I toni ultimativi si alternano a segnali distensivi. «Credo che verranno superate le incomprensioni», ripete il premier che va avanti così: «Continuiamo ma senza far vedere posizioni che facciano pensare ad un partito» litigioso quando invece, «il Pdl è coeso e democratico». Già, democratico. Perchè ora si terrà un ufficio di presidenza ogni quindici giorni, una direzione nazionale ogni due mesi e il prossimo congresso entro un anno. E l’appiattimento sulla Lega denunciato da fini? Berlusconi non ci sta: «Con la Lega abbiamo un’alleanza robusta, solida e stabile... La Lega è portatrice di esigenze talvolta del Nord ma non c’è mai stato in Cdm un solo argomento di distanza con il Pdl». A tarda sera le telecamere sono spente e c’è solo spazio per i ragionamenti privati. «Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, non lo posso certamente togliere. Questa è democrazia», racconta sottovoce il Cavaliere che va avanti e si sfoga: «La verità è che Fini da un anno e mezzo dice sempre cose opposte a quelle che dico io e poi c’è la Bongiorno che in Commissione Giustizia alla Camera crea sempre problemi». Insomma la tensione c’è ancora e il premier pretende una svolta: «Questo stillicidio deve finire. O si trova un accordo oppure ognuno va per la propria strada... Perchè deve finire questa storia di mostrare divisioni che invece non ci sono... Perchè è ora di voltare definitivamente pagina».
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