sabato 23 marzo 2013
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​«Serve un accordo trasparente fra il Pd e noi, altro che inciuci o formulette aritmetiche su qualche voto in più o in meno al Senato». È quasi sera quando, a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi ragiona con lo stato maggiore del partito. Mancano meno di 24 ore alla manifestazione di Piazza del Popolo, ma i pensieri del leader e dei suoi sono assorbiti dai ragionamenti sulla formazione del governo. La tv ha trasmesso il messaggio di Giorgio Napolitano, dopo il conferimento dell’incarico a Pier Luigi Bersani: «Il Colle gli ha chiesto numeri certi. Ora speriamo che abbia il buon senso di capire come la nascita di un esecutivo stabile sia possibile solo con un asse Pd-Pdl - dice il Cavaliere ai suoi -. Noi dobbiamo continuare ad essere disponibili. Sarebbe un danno grave se Bersani insistesse su una strada sbagliata: non avremmo un governo, ma un salto nel buio. A quel punto, per noi si dovrà andare dritti al voto...». La linea dell’apertura viene subito ribadita alle agenzie di stampa dai colonnelli del partito. Il primo è Fabrizio Cicchitto: «Il presidente ha detto che Bersani dovrà verificare se ci sono le condizioni per avere una maggioranza: siamo al punto di prima. Noi non abbiamo una pregiudiziale sulle persone, ma o veniamo coinvolti in un confronto, oppure ci collocheremo all’opposizione». Cicchitto spazza via le voci su un possibile "fiancheggiamento" del Carroccio al costituendo governo: «Non ci sarà nessun distinguo con la Lega». E Roberto Maroni conforta le sue parole, assicurando che deciderà una linea comune col Pdl. In serata lo stesso Cavaliere esce allo scoperto, con interviste al Tg5 e al Tg2: «Senza di noi nessuna maggioranza è possibile. Bersani ne deve prendere atto...». Insomma, la linea del Piave del Pdl resta quella prospettata al capo dello Stato sul Colle durante le consultazioni di giovedì: «Ci sono tre forze di pari entità, ma una di queste (M5S, ndr) si è sfilata, rifiutandosi di sostenere il governo guidato Bersani», ripete Berlusconi. Ergo, «la responsabilità incombe sulle altre due forze politiche», ossia Pd e Pdl. La base dei purparler sul programma potrebbe partire proprio dagli «8 punti» fissati da Bersani: «Molti si sovrappongono a provvedimenti che abbiamo preparato, in forma di decreti legge, per far uscire l’Italia dalla recessione e aiutare l’economia», concede Berlusconi, che però vorrebbe anche trattare sulla legge elettorale e sull’elezione diretta del capo dello Stato. Il che porta all’altro sentiero, più accidentato, sul quale dovrebbero incamminarsi gli sherpa, della nomina del prossimo inquilino del Colle. Nella rosa di nomi "graditi" al Pdl, circolano quelli di Gianni Letta, Antonio Martino o anche Giuliano Amato. Ma il Pd nicchia, sostengono in via dell’Umiltà, mantenendo in pole Romano Prodi, cioè il candidato meno "digeribile" per il Cavaliere, che perciò accarezza pure l’ipotesi-ponte di un prolungamento, anche breve, della permanenza di Napolitano, al quale riconferma stima: «Abbiamo fiducia nella saggezza del Capo dello Stato, che ha agito nel rispetto scrupoloso della Costituzione». Dunque, non resta che attendere le mosse del premier incaricato, ma il leader del Pdl (che sul fronte giudiziario può di nuovo respirare, in attesa della Cassazione sui processi Ruby e Mediaset), sa che per aprire spiragli di trattativa, non dovrà calcare la mano sugli attacchi alle toghe. E così sulla manifestazione di oggi a Roma, sfuma i toni accesi in favore di quelli soft: «Andremo in piazza per un Paese moderno ed efficiente», anche sul piano della giustizia, per una riforma che non consenta «ai magistrati politicizzati di giudicare gli eletti da loro ritenuti nemici politici».
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