venerdì 2 luglio 2010
Il premier cerca la tregua con il Quirinale ed è disposto ad allentare la presa sulle intercettazioni, purché si proceda con il lodo Alfano.
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La politica italiana «è in ebollizione? Ghe pensi mi». Il premier, sbarcato in Italia da una lunga trasferta internazionale, si concede a raffica a tv e radio quasi unificate per avvisare tutti che la festa è finita. «Da lunedì», promette Silvio Berlusconi, «mi metterò al lavoro», «prenderò in mano la situazione» – definita «non tranquilla» e «in ebollizione» –  e «mi occuperò di con grande determinazione e con risultati concreti» di «manovra, intercettazioni e giustizia». Un’agenda, quella spiegata in tv, che non comprende altri temi, dei quali però si è parlato lungamente in un vertice con i fedelissimi, convocato a Palazzo Grazioli nel pomeriggio di ieri. E potrebbe comprendere la soluzione traumatica del caso Brancher, ovvero le dimissioni del neo ministro (il quale però assicura di non saperne nulla) prima della mozione di sfiducia alle Camere. Un gesto che, nelle intenzioni del Cavaliere, dovrebbe servire a riprendere i nodi del rapporto con il capo dello Stato, sfilacciatosi notevolmente dopo la vicenda Brancher e quella delle intercettazioni. Ed evitare una conta in Parlamento che, con l’annunciata convergenza di Pd, Idv, Udc e finiani, potrebbe di questi tempi riservare sgraditissime sorprese. Il pendolo, all’interno dello Stato maggiore del Pdl, oscilla notevolmente tra lo scontro frontale e la mediazione. C’è chi come Ghedini, avvocato del premier e consigliere privilegiato in materia di giustizia, propende per lo show down con il Quirinale. E ieri mattina, con una intervista al «Corsera», ha dato fuoco alle polveri, facendo una (in apparenza cortese) lezione di diritto costituzionale a Napolitano, ma ricordandogli nella sostanza che qualora non firmasse la legge sulle intercettazioni, il Parlamento (ovvero la maggioranza) potrebbe rimandargliela così com’è, costringendolo alla firma. Una vera e propria sfida, stigmatizzata duramente dalle opposizioni. Difficile pensare che Ghedini abbia potuto fare un attacco così mirato al capo dello Stato, senza prima essersi consultato con il suo capo. Ma è anche vero che nel gioco della comunicazione politica di cui il Pdl è maestro, spesso si fanno lanciare da altri attacchi duri, per poi presentarsi come i pacificatori. Da quello che raccontano i partecipanti al vertice, la guerra a Napolitano (i cui interventi non sono piaciuti al premier) sarebbe, in questo momento, l’ultimo dei pensieri di Berlusconi. Preoccupato della situazione interna al Pdl – il Cavaliere detesta che si litighi in pubblico, come hanno fatto l’altro giorno Fini e Bondi – ma anche da un certo movimentismo della Lega, che nei giorni scorsi si è esposta fin troppo nel rivendicare il suo ruolo di mediazione politica: con il Quirinale, nella vicenda Brancher; con Fini e lo stesso capo dello Stato per la questione della legge sulle intercettazioni; con le Regione per i tagli contenuti nella manovra. Movimentismo che, in certi passaggi, ha rischiato di appannare l’immagine del premier. Il presidente sono io, è stato dunque il messaggio che Berlusconi ha voluto dare agli elettori del centrodestra un po’ frastornati. Ma anche ai suoi alleati-competitori, ai quali il Cavaliere fa sapere che non accetta di essere scavalcato. E, da quello che è emerso dal vertice, il Pdl tenderà una mano sulle intercettazioni («Non impicchiamoci a questo testo, che non è nemmeno quello che volevo», avrebbe sostenuto il presidente del Consiglio) accettando anche il rinvio a settembre. Piuttosto, meglio lavorare sulla costituzionalizzazione del Lodo Alfano, per il quale però il consenso dell’opposizione se non obbligatorio è consigliabile, per evitare il ricorso al referendum. Ma probabilmente si arriverà al più presto (o si tenterà di farlo) alla resa dei conti con il presidente della Camera, che è ormai accusato di «tradimento». «O dentro alle nostre condizioni o fuori», ammoniva ancora ieri Fabrizio Cicchitto.
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