venerdì 24 aprile 2020
I tecnici radiologi in Pronto soccorso: «Covid e non Covid troppo vicini». Il giallo delle mascherine a inizio epidemia: «In alcuni reparti qualcuno non le indossava».
Al via i test sierologici sui cittadini all’ospedale di Alzano Lombardo

Al via i test sierologici sui cittadini all’ospedale di Alzano Lombardo - Fotogramma

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Bergamo «La tomografia computerizzata utilizzata in Pronto soccorso continua a effettuare esami di pazienti positivi e non positivi al Covid–19». I tecnici sanitari di radiologia medica del reparto di emergenza dell’ospedale di Bergamo, investito in pieno dall’ondata epidemica, scrivono alla direzione generale per manifestare dubbi e paure. La lettera, datata 17 aprile, sta provocando un po’ di rumore e qualche imbarazzo nei corridoi dell’ospedale.

In due pagine si evidenzia una situazione «già gravosa e a rischio aumentato di potenziale contagio» e si critica la decisione di eseguire in pronto soccorso anche le tomografie su pazienti ricoverati in terapia intensiva, più quelle legate a tutte le urgenze degli altri reparti. Il 30 marzo, alla fine di un mese pesantissimo, i vertici del Papa Giovanni XXIII decidono di diversificare all’interno dell’ospedale i percorsi Covid e non Covid: i pazienti positivi e sospetti saranno esaminati nella Tc di radiologia (definita “sporca”), quelli «in teoria» negativi in neuroradiologia (“Tc pulita”).

I tecnici radiologi condividono la scelta, ma non capiscono perché riversare un ulteriore carico di responsabilità su un Pronto soccorso che opera già da tempo in condizioni limite. «La mole di esami e di lavoro rende inorganizzabile e poco gestibile la situazione e rende impraticabile l’applicazione delle disposizioni ricevute ». Anche perché il macchinario diagnostico va disinfettato dopo un esame a un Covid, rendendo difficile affrontare le pressanti esigenze di pronto soccorso.

La sovrapposizione di esami a pazienti già ricoverati prolunga i tempi di attesa, che in alcuni casi arrivano, dicono i tecnici, a 6–7 ore. «Si genera un inevitabile conflitto temporale che diventa importante nel momento in cui ci troviamo a effettuare esami in urgenza di pazienti negativi al Covid–19, aumentando il potenziale rischio di contagio».

Procedure da migliorare, insomma, per evitare che il virus trovi un acceleratore nelle stanze di un ospedale già messo a durissima prova nei tragici giorni di metà marzo soprattutto. I tecnici spiegano che la situazione «genera stress aumentando la possibilità di errori » e segnalano altre problematiche che, di nuovo, «rappresentano un potenziale rischio per la sicurezza degli operatori e dei pazienti». A partire dal fatto che «nelle nostre sale d’attesa si ritrovino spesso a stazionare pazienti positivi e non positivi al Covid–19». Servirebbe, spiegano, una «zona filtro alle diagnostiche in modo da evitare che il personale dedicato al trasporto stazioni nelle zone vicine alle console che dovremmo mantenere sempre pulite».

A questo proposito, si suggerisce di non utilizzare la sala per almeno 30 minuti dopo la disinfezione. «Come accade ad esempio allo Spallanzani di Roma» osservano i tecnici, che concludono con la richiesta di «maggiori garanzie di sicurezza» per chi opera nelle sale diagnostiche del Pronto soccorso. Poi l’amara chiosa finale: «Avremmo voluto evitare queste segnalazioni in un momento così difficile, avremmo auspicato una gestione diversa. Confidiamo che per il futuro questi problemi possano essere risolti alla base e in piena collaborazione».

Qualche ansia era già emersa allo spuntare dell’emergenza. Lunedì 24 febbraio, il «the day after» di Alzano Lombardo, i ricoverati per coronavirus a Bergamo sono già sei. La preoccupazione cresce, sono ore di estrema tensione. Bisogna pensare e agire in fretta, sotto una pressione che salirà a livelli insostenibili. «Sono passati due mesi, ma sembrano due anni» confessa una fonte dirigenziale, per descrivere lo scenario drammatico di quei giorni, complicato per chiunque. Prima dell’inizio del turno un operatore di radiologia va in magazzino per prelevare una mascherina.

E trova una brutta sorpresa. «Non ce n’era nemmeno una. Le scatole erano sparite. Così come i disinfettanti. Mi dissero che la stessa cosa era accaduta in altri reparti ». L’operatore spiega di aver lavorato per almeno una settimana senza dispositivo di protezione, così come i colleghi. «Tra tecnici e infermieri ci siamo ammalati in quindici. Febbre, tosse. I sintomi tipici del Covid, per fortuna nessuno in modo grave».

Sono i giorni in cui l’ondata del virus inizia a salire. Il Pronto soccorso è in prima linea, riceve un’enormità di casi. Ma il virus insidia anche le retrovie. «In radiologia in quel periodo arrivava un numero crescente di persone inviate dal medico di base per problemi respiratori: da 60 radiografie al giorno siamo arrivati a farne anche 100». Probabile che tra questi pazienti ci fossero diversi sospetti casi Covid, con conseguenti rischi per il personale. «In quei giorni io ho avuto solo qualche linea di febbre, ma i miei genitori anziani si sono ammalati entrambi. Per fortuna sono guariti. Le mascherine poi sono arrivate, ora ce ne danno una al mattino per tutto il turno». Ma ci sono anche altre segnalazioni.

Venerdì 28 febbraio la signora G.G., 71 anni, accompagna il marito al centro prelievi per un esame di routine. «Il nostro medico ci raccomandò di indossare le mascherine appena scesi dall’auto». I due pensionati eseguono, l’uomo si presenta al prelievo con naso e bocca coperti. «L’infermiera però non indossava la mascherina» ricorda la moglie. «La cosa mi colpì. Pensai: andiamo bene». Un presagio che anticipa il dramma. Il 3 marzo il marito inizia ad avere febbre, peggiora e il 9 marzo viene ricoverato. «È stata l’ultima volta che l’ho visto. Il 15 è morto. Per carità, non voglio pensare che si sia ammalato in ospedale. Però lui faceva vita ritirata, non usciva mai».

A ruota si ammalano le nipotine e il genero: quest’ultimo è tuttora alle prese con i postumi del virus. La vicenda ricalca quella di un 70enne che il 27 febbraio va al Papa Giovanni per sottoporsi a scintigrafia ossea. Resta quattro ore nella sala d’attesa di Medicina nucleare. «Era accompagnato da mia suocera – racconta R.C. –. Rimasero stupiti perché loro, insieme a un’altra decina di pazienti in attesa, avevano la mascherina. Medici e infermieri invece non la portavano ».

Il 14 marzo l’uomo si sottopone a una Tac al torace, emergono addensamenti polmonari. Ha la febbre, fatica a respirare. Peggiora e muore il 24 marzo. Nessuno può dire né tantomeno dimostrare che si sia ammalato in ospedale. Certo è che l’uso delle mascherine avrebbe ridotto i rischi per tutti, pazienti e operatori. Il 29 febbraio i sindacati denunciano la situazione in cui versano un po’ tutti gli ospedali di una provincia che di lì a poco registrerà un numero altissimo di contagi tra il personale sanitario: «Abbiamo la netta percezione che non tutto quanto è necessario sia stato messo in campo per quanto riguarda la fornitura di dispositivi di protezione – annotano Cgil, Cisl e Uil –: sono segnalati scarsità di mascherine idonee e di tamponi». Infine, la stranezza della tenda pre triage. Viene montata fuori dal Pronto soccorso già il 24 febbraio, ma non verrà mai utilizzata. A differenza di quanto avvenuto all’ospedale di Padova e altrove, dove i sospetti Covid passano attraverso la zona di prefiltraggio. Ma anche Seriate usa una tenda per effettuare le tac ai presunti positivi fuori dall’ospedale. Al Papa Giovanni invece si sono fatte scelte diverse.

LA REPLICA DEL PAPA GIOVANNI XXIII
Mascherine assenti nei reparti? «Non ci risultano segnalazioni Al lavoro sui percorsi. Tendone allestito solo per precauzione»

In merito alle testimonianze raccolte da Avvenire, l’Asst Papa Giovanni XXIII fa sapere che «non risultano segnalazioni né dal personale né dagli utenti sull’assenza di dispositivi di protezione. L’Azienda ha sempre applicato le disposizioni più aggiornate rese note da Oms, Iss, Ministero della Salute e Regione Lombardia. La prima comunicazione agli operatori risale ai primi di febbraio e diverse si sono succedute fino ad oggi. Le indicazioni sono state rese disponibili agli operatori e sono state effettuate e sono ancora in corso sedute di formazione ».

Quanto al tendone di fronte al Pronto Soccorso, «è stato allestito a scopo precauzionale il 24 febbraio. In quella stessa data all’ingresso del triage sono stati posizionati soluzioni per lo strofinamento alcolico delle mani e mascherine per gli utenti, con indicazioni su come comportarsi. Il paziente veniva e viene valutato al triage e indirizzato nel percorso e nelle aree ritenute più adatte in base ai sintomi presentati. Gli spazi del nostro Ps consentono di distanziare i pazienti in base al numero attuale di accessi. Nei giorni di massimi accessi per Covid non vi era praticamente nessun paziente autopresentato». Infine, «sulla segnalazione dei percorsi abbiamo allestito delle barriere presidiate da personale che prova la temperatura agli utenti ambulatoriali. Al tema è dedicato un gruppo di lavoro, stiamo allestendo segnaletiche specifiche e proseguiremo con la formazione degli operatori».

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