domenica 21 settembre 2014
​Genetica, famiglia e preghiera: il mix che fa vivere a lungo i sardi
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La vita tranquilla in famiglia, un particolare regime alimentare, una terra piena di luce e di bellezza e poi, certamente, la genetica. Il combinato composto di questi e altri fattori concorre a determinare la straordinaria longevità dei sardi, caratteristica così peculiare da essere oggetto di uno studio dell’Università di Sassari con la collaborazione del Max-Planck Institute for Demographic Research, di Rostock, in Germania e dalla Duke University, North Carolina, USA. Il progetto di studio 'AKeA', coordinato dal professor Luca Deiana, docente di biochimica clinica e biologia molecolare clinica presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Sassari, prende il suo nome dall’acronimo di un tradizionale augurio isolano: 'A Kent’Annos' ('a cent’anni').  «È un augurio che è sempre esistito in Sardegna – spiega Luca Deiana – e il fatto stesso che esista la parola che indica la possibilità di arrivare a cent’anni vuol dire che già in tempi antichi vivevano persone centenarie». La conferma arriva da testimonianze risalenti nientemeno che al II/III secolo dopo Cristo: «Abbiamo ritrovato scritte litiche, cioè su pietra, che riportano nome e cognome ed età del defunto che testimoniano come quasi duemila anni fa già ci fossero persone di cento anni». Laddove nel mondo in molti si dichiarano ultracentenari sulla base di non verificabili prove orali, la documentazione certa e certificata è la prima e fondamentale base per poter attestare senza dubbi la longevità di una persona. Per questo il progetto AKeA si avvale di un’equipe polispecialistica formata da medici, biologi e demografi che agisce proprio come una squadra di detective. «Le nostre prime fonti sono i registri dello Stato Civile degli uffici anagrafe dei 370 Comuni – chiarisce il coordinatore del progetto – dove i demografi possono verificare e certificare l’età reale del centenario. Ma i registri si fermano al 1866, così altra fonte d’informazione sono le parrocchie e le diocesi dove sono conservati, completissimi e ordinatissimi, i 'Quinque libri', ovvero registrazioni dei battesimi, matrimoni, morti, cresime e stati delle anime effettuati dai parroci a partire dal XVI secolo».  Questi registri parrocchiali si dimostrano fonte cospicua e preziosa di informazioni che permettono agli esperti di ricostruire le cosiddette 'linee di longevità' di una famiglia seguendone la storia attraverso i secoli racconta Deiana: «Da questa straordinaria documentazione, corredata anche dai ritrovamenti delle scritte litiche, abbiamo la conferma che i centenari in Sardegna sono sempre esistiti». Fin qui i dati storici, ma che dire delle caratteristiche genetiche e ambientali? «Il fattore principale è quello genetico – conferma lo studioso –. Nella famiglia dove c’è un centenario l’aspettativa di vita rispetto ad altri è superiore di quasi 5 punti in più». Si registra quindi il primato inserito nel libro dei Guinness per la famiglia più longeva: appartiene a quella di Consola Melis di Perdasdefogu. Numeri da Matusalemme, ma come ricorda Deiana non sono i soli: «Il signor Antonio Todde di Tiana, paesino di 600 abitanti, con i suoi 113 anni nel 2001/2002 era l’uomo più vecchio del mondo». I 3.200 casi censiti in questi 15 anni e schedati in uno speciale 'archivio della longevità' riportano un record sardo di 22 centenari ogni 100mila abitanti. Non solo, anche il rapporto uomini/donne è decisamente più equilibrato che altrove: «Qui si constata una proporzione uomo/donna di 1 a 2 e in alcune zone si arriva a 1 a 1, mentre in genere il rapporto è di 1 a 4 e a Milano, per esempio, è di 1 a 9». A dirlo sembra quasi banale, ma il fattore ambientale si mantiene rilevante: «La Sardegna è una terra forse tra le più favorite per la media e la quantità di luce e per la sua biodiversità alimentare. Formaggio ovino, vino, frutta posseggono caratteristiche e componenti chimici molto diversi da quelli di altre zone. E l’alimentazione fa la differenza». Ma c’è anche un altro duplice agente, sensibile e solido al tempo stesso, che influisce notevolmente sulla longevità. Da un lato la presenza reale e tangibile della comunità, intesa come famiglia e come paese, dall’altro la componente religiosa. «Quasi tutti i nostri centenari vivono in famiglia, di solito molto ampia e formata da varie generazioni –. chiosa Luca Deiana – Poi abitano per lo più in piccoli centri, dove sono conosciuti, rispettati e benvoluti. Infine, sono credenti e vivono una spiritualità profonda e positiva. Da tutti questi elementi traggono la consapevolezza che c’è qualcuno che li assiste e si prende cura di loro, ogni giorno».

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