domenica 21 giugno 2020
L’ospedale di Borgo Trento a Verona è il maggiore punto nascite del Veneto. In un anno e mezzo tre decessi e altri 16 bambini colpiti dal citrobacter. Due commissioni di esperti al lavoro per studiare il problema e indagini aperte da due Procure

L’ospedale di Borgo Trento a Verona è il maggiore punto nascite del Veneto. In un anno e mezzo tre decessi e altri 16 bambini colpiti dal citrobacter. Due commissioni di esperti al lavoro per studiare il problema e indagini aperte da due Procure

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Tre bambini non ci sono più. Quattro convivono con gravissime conseguenze neurologiche. Almeno dodici sono stati stati 'colonizzati', ovvero colpiti dai batteri. L’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona, il più grande punto nascite del Veneto (3.600 parti all’anno), ha chiuso da vari giorni per la presenza del citrobacter. Dal novembre del 2018 a oggi l’insidioso batterio – innocuo finché rimane nell’intestino, letale se raggiunge il cervello di un neonato – ha lasciato dietro di sé una scia di dolore e rabbia per molte famiglie del veronese i cui bimbi sono stati curati nelle terapie intensive neonatale e pediatrica, ora spostate in un’altra ala del nosocomio dell’Azienda ospedaliera universitaria scaligera per permettere di scovare dove si annida l’agente infettivo. Sono due le commissioni di esperti al lavoro per tentare di ricostruire i fatti e soprattutto le cause di quanto sta avvenendo, una nominata dalla stessa Azienda e una ispettiva voluta direttamente dalla Regione.Sono due anche le Procure che stanno indagando: oltre a quella di Verona, anche quella di Genova.

Tutto è iniziato lo scorso novembre: Francesca Frezza saluta per sempre la sua piccola Nina all’ospedale Gaslini di Genova, dopo un calvario durato sette mesi. «Su consiglio degli stessi sanitari – racconta ad Avvenire – ho depositato un esposto alla procura ligure. L’autopsia e le successive indagini comprovano che mia figlia è morta per sepsi da citrobacter, contratto proprio a Borgo Trento, e parlano di gravi mancanze igienico- sanitarie della struttura » .

Da quel momento Francesca ingaggia una battaglia in nome degli altri bambini trattati nel nosocomio veronese, inaugurato soltanto tre anni fa, perché vuole evitare a tutti i costi che altri si possano infettare. «Per questo, ora che l’Ospedale della Donna e del Bambino è chiuso, dico che Nina ha vinto insieme agli altri bambini». Ma nell’anno e mezzo trascorso dal primo caso i decessi sono già stati tre, a quanto si legge nelle relazioni dell’Azienda ospedaliera e della Regione citate nell’interrogazione parlamentare presentata giorni fa al ministro della Salute dall’onorevole Alessia Rotta, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera, con i colleghi Diego Zardini ed Elena Carnevali. Dopo il primo bambino nel 2018 e Nina nel 2019, anche a marzo di quest’anno c’è stato un decesso. La contemporanea colonizzazione di 12 bambini ha infine convinto il direttore generale Francesco Cobello a chiudere la struttura. La vicenda va avanti da troppo tempo, come ammesso pubblicamente dallo stesso governatore Luca Zaia. «In tutti questi mesi abbiamo sanificato più volte i reparti e sottoposto a tampone tutto il personale – si difende Cobello –. Abbiamo fatto tutto il possibile, fino alla decisione di chiudere. Ora procederemo con tecniche ancora più radicali per provare a debellare il batterio». Il procuratore generale di Verona Angela Barbaglio è pronta a indagare dopo un altro esposto di Francesca Frezza, depositato mercoledì 17.

Intanto il telefono della mamma di Nina continua a squillare: all’altro capo ci sono genitori i cui bambini potrebbero essere stati infettati. «I casi potrebbero infatti essere molti di più – sostiene la donna –. Ma è giusto che si sappia che oltre all’infezione a Borgo Trento nei confronti di mia figlia è stata calpestata pure la legge 219 del 2017, quella sul biotestamento: il personale medico si è accanito per settimane su Nina, anche se le ecografie avevano già fatto comprendere che la situazione era disperata, e non c’è stato nessun accordo sulle cure». Frezza conclude: «Sono anche stata sottoposta a fortissime pressioni perché accettassi un intervento di derivazione ventricolo peritoneale per asportare il liquido in eccesso per l’idrocefalo causato dall’infezione. Ma a che pro? Nessuno a Verona si è mosso perché Nina accedesse alle cure palliative, finché il 26 luglio ho portato via mia figlia e solo al Gaslini, proprio grazie alle cure palliative, ha finalmente la piccola trovato pace dai fortissimi dolori che provava proprio per la pressione del liquido sull’encefalo».

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