martedì 10 aprile 2018
Mercoledì tavolo al ministero. L'appello di monsignor Santoro: «Stop agli esuberi e più rispetto per l'ambiente»
Le ciminiere dell’Ilva di Taranto, viste dal mare

Le ciminiere dell’Ilva di Taranto, viste dal mare

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«Siamo preoccupati perché dopo importanti passi avanti ora siamo in una fase sospesa. Ma non si possono allungare ancora i tempi. La gente vive un’insicurezza terribile da tutti i punti di vista. C’è disagio e incertezza». È l’appello dell’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, in vista del nuovo incontro di domani al ministero per lo Sviluppo economico sul futuro dell’Ilva e in particolare sull’occupazione.

Incontro forse decisivo per i 4mila lavoratori considerati in esubero dal colosso indiano Arcelor Mittal. Ma non solo per loro, come denuncia l’arcivescovo ribadendo la posizione della Chiesa locale. «I punti che come diocesi abbiamo sempre sottolineato sono chiarissimi: porre fine alla devastazione ambientale, e quindi mettere in campo tutti i provvedimenti necessari che devono essere rigorosi al massimo possibile; non permettere gli esuberi. Questi sono i due obiettivi immediati. Ma io insisto su un altro punto sul quale vedo meno impegno, ed è la questione dell’indotto. Giustamente il governo si sta occupando dei dipendenti dell’Ilva, ma le fabbriche dell’indotto sono in gravissima sofferenza e si tratta di 8mila persone».

Così monsignor Santoro si rivolge alla politica. «Questa è un opportunità, lo dico anche ai nuovi politici, non la perdiamo. Un’opportunità per mettere fine alla devastazione ambientale e avviare uno sviluppo armonico, socialmente e ambientalmente sostenibile. Non sprechiamola. Speriamo che a Roma decidano davvero in modo positivo». Preoccupazioni espresse e ribadite dal vicario episcopale per la cura del Creato, don Antonio Panico, al secondo seminario del progetto 'Verso una rete internazionale per l’ecologia integrale', promosso dalla Pontificia Università Antonianum, che ha coinvolto molti imprenditori del Tarantino.

Don Antonio ha ricordato «la forte azione della diocesi. Nel 2013 abbiamo creato una vera rete facendo incontrare due ministri, la magistratura, i sindacati, uomini di scienza, gli ambientalisti, per dimostrare che è possibile una produzione non inquinante: ambiente, salute e lavoro, un cammino possibile. E lì ci fu il battesimo della Commissione diocesana per la custodia del creato, con tutti quelli del nostro territorio che con varie opinioni sono impegnati per l’ambiente». Un impegno che non si è mai fermato. «Passi avanti ne erano stati fatti – sottolinea l’arcivescovo –. Sugli esuberi siamo stati molto chiari col ministro Calenda. Abbiamo fatto capire che se ci fossero stati non saremmo stati in silenzio. Si erano messi d’accordo e anche l’azienda aveva assicurato che avrebbe provveduto. Adesso, invece, siamo proprio sospesi. Speriamo non sia una situazione troppo lunga. Io speravo che si chiudesse col governo Gentiloni. In un modo dignitoso. Invece siamo nella precarietà».

Ma la Chiesa non tace. Così Santoro ricorda ben tre interventi durante la Settimana Santa. Al Precetto pasquale all’Ilva, all’uscita della Processione della Vergine Addolorata, alla Processione dei Misteri. «Davanti a 30mila persone ho parlato del dolore della nostra città. E ricordiamo che la devastazione ambientale di Taranto non è solo l’Ilva. Non ci facciamo mancare niente, purtroppo. Ho voluto dare una scossa alla città mettendo in evidenza il disagio e l’incertezza della gente. Ma anche facendo un richiamo alla città: la solidarietà che vivete attorno ai misteri, mettetela nella vita pubblica. Infatti il lavoro che stiamo facendo in diocesi è di valorizzare questa religiosità popolare in modo che abbia anche un’incidenza sulla vita sociale ed economica». All’uscita della Processione della Vergine Addolorata, monsignor Santoro si era affidato proprio alla Madre del Signore. «A lei stanotte ancora una volta raccontiamo la nostra città con tutte le sue contraddizioni e i suoi affanni, con le tante problematiche legate alla salute, all’ambiente, alla precarietà del lavoro, all’urgenza della rinascita, ma gliela dobbiamo raccontare con fede ovvero con la fiducia intima e convinta che la preghiera può spostare le montagne, che le cose possono cambiare, che Dio non si allontana da questo popolo e che continua ad amarlo e a benedirlo».

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