mercoledì 30 agosto 2017
Il cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana, visita ad Amatrice, Accumuli e Arquata. «La speranza non è morta, la vita va avanti»
Il cardinale Bassetti ad Arquata, di fronte alle magliette che ricordano le vittime (Siciliani)

Il cardinale Bassetti ad Arquata, di fronte alle magliette che ricordano le vittime (Siciliani)

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È dappertutto polvere. Dappertutto macerie, da Amatrice ad Arquata, da Accumoli a Pescara del Tronto. Dappertutto tristezza e speranza. Accarezza una signora anziana cieca ad Amatrice e qualche ora dopo i bambini di Montegallo. «È qualche cosa di terribilmente coinvolgente, non soltanto le rovine fisiche, ma il dolore delle persone, la distruzione che è avvenuta anche dentro loro», dice il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. E «non possiamo avere parole per questa gente che non siano "ti sono vicino", "ti voglio bene" e "Dio ti ama". Perché altro da dire non c’è».

Saranno centinaia di chilometri alla fine, da ieri mattina a stasera, quelli che avrà percorso per andare proprio dalle persone e raggiungerne il più possibile. E forse è monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, a spiegar bene cosa sta accadendo in questo viaggio: «Quando arrivano qui i politici, c’è un codazzo di persone che li accompagnano e la gente rimane da lontano a guardarli. Quando viene un rappresentante della Chiesa, la gente si avvicina. Credo perché senta la Chiesa vicina. Perché sa che le è accanto e le dà sicurezza che non sarà abbandonata».


Più tardi proprio a Montegallo (che è una frazione di Castro, in provincia di Ascoli) è lo stesso Bassetti a spiegare il suo viaggio, e proprio rivolgendosi alla gente: «Sapete perché sono voluto venire? Non tanto per fare la visita ufficiale e nemmeno perché sono il presidente della Cei, m’interessa poco di questo, anzi mi interessa molto se posso aiutarvi. Ma sono venuto perché ho sentito che nel mio cuore di pastore c’era posto anche per voi». La gente lo applaude, gli dice «grazie!» e lui stringe le mani di tutti, ha una parola per ciascuno. Qui, poco prima, la scena era stata divertente. I bambini lo avevano attorniato, cartelloni in mano e dopo quattro chiacchiere gli avevano regalato un piccolo album con foto e pensieri del loro campo estivo Il cardinale aveva cominciato sfogliarlo e alla seconda pagina aveva detto rivolgendosi a una bambina: «Ma sei tu questa qui? Questa che fa… la linguaccia?!». E giù risate di tutti.


La giornata è stata lunga. Prima ad Amatrice, accompagnato dal vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, nella zona rossa, a guardare e pregare. Al centro Caritas, a salutare i volontari. In un’azienda di coltivatori e subito dopo in un prosciuttificio. «Capisco quanto sia dura – dice Bassetti –. Però è bello vedere questa rinascita, vedere così tante persone che lavorano».


Va in un villaggio con le casette, sempre ad Amatrice. Entra in alcune case, viene accolto sulla porta e, fosse per la gente, se lo terrebbe a pranzo. Una signora gli racconta com’è uscita dalle macerie, un signore come sta riprendendosi solo adesso dalla tragedia di un anno fa. Il cardinale entra anche in un’altra casetta e sulla parete sinistra una grande quadro con una ragazze e due bimbi. «Sono mia moglie e i miei figli – gli dice Valerio –. Quella notte sono morti tutti e tre uccisi dalla nostra casa». Lui fa il pane, stava lavorando e «per questo mi sono salvato». Bassetti gli poggia entrambe le mani sulle spalle. Le tiene a lungo. Lo abbraccia. Valerio è appena tornato dalla Terra Santa.


Raggiungiamo Accumoli. Il presidente della Cei si ferma a pregare con monsignor Pompili davanti al monumento dedicato «ai caduti del terremoto». La corona poggiata meno di una settimana ha i fiori ancora freschi. Andiamo alle casette di Accumoli, c’è il sindaco e ci sono scene con le persone uguali a quelle nel villaggio di Amatrice.


Altri chilometri ed ecco
Arquata del Tronto. Quel poco o nulla che ne resta. Si è alzato un vento leggero, davanti agli occhi è devastazione. Bassetti la guarda, a lungo. Il sindaco di Arquata poco più tardi la dirà chiara: «Tanta gente è venuta, tanti dicono di aiutarci e lo hanno anche fatto, ma nessuno ci ha dato una mano come la Chiesa». La gente gli batte a lungo le mani.


Pochi minuti di macchina ed è Pescara del Tronto. Paesaggio terribile anche qui. Anche qui devastazione quasi assoluta e lo sapppiamo da molto tempo. Su una ringhiera, davanti a un altro piccolo monumento, sono appese, ben disposte, ordinatamente una accanto all’altra, tante magliette bianche con le foto di chi è morto, a parte la prima, sulla quale c’è scritto "È passato un anno. Più forte il dolore, più forte il peso sul cuore". Bassetti si avvicina alla ringhiera, accarezza ogni maglietta e tutte, senza fretta posa la mano su ciascuno di quei volti. Poi prega.

L’ultima tappa, almeno per ieri, è Montegallo. Fra i container e la ghiaia sotto i piedi. C’è il sindaco, tantissima gente e, appunto, tanti bambini e le famiglie. La gente qui racconta di essersi in qualche modo divisa, racconta di tensioni e difficoltà. Il cardinale veste i panni del nonno buono e a Guareschi sarebbe piaciuto un bel po’, perché racconta del 1966 quando, giovanissimo prete a Firenze, ci fu l’alluvione: «Sapete, all’epoca c’erano i comunisti e la casa del popolo da una parte, c’era la sala parrocchiale dall’altra e quasi ci si contrapponeva ideologicamente, ma quando arrivò l’alluvione spazzò via tutto, perché c’erano solo da aiutare le persone. C’era solo d’andare, tutti insieme, a Campo di Marte a prendere le coperte e i viveri per chi doveva dormire e mangiare, c’era solo una specie di gara di solidarietà e condivisione…».

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