venerdì 15 settembre 2017
Il presidente della Cei al “Cortile di Francesco”. Prodi: un continente debole non sarà mai solidale
Il cardinale Gualtiero Bassetti e l’ex premier Romano Prodi ad Assisi

Il cardinale Gualtiero Bassetti e l’ex premier Romano Prodi ad Assisi

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Una «nuova sensibilità europea» che sappia contrastare efficacemente la «cultura della paura» per affrontare «le grandi sfide dell’Europa » ispirati dall’«eredità antichissima » di un continente che deve continuare a essere uno «spazio di incontro ». Basta guardarsi attorno, mentre il cardinale Gualtiero Bassetti incrocia nubi e luci nel cielo d’Europa: gli affreschi del ciclo di Giotto nella Basilica superiore di Assisi parlano di un’eredità umanistica colma di contributi, che pare incompatibile con un ipotetico futuro da fortezza assediata e timorosa.

Al “Cortile di Francesco”, che ha aperto ieri la sua terza edizione tra piazze, chiese e vie della città del Poverello, lo sguardo è spinto ad allargarsi per la forza stessa del luogo che ospita l’iniziativa promossa dal Sacro Convento insieme a Pontificio Consiglio della Cultura e Conferenza episcopale umbra. E nel dialogo serale con l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, l’arcivescovo di Perugia e presidente della Cei invita a considerare che le «grandi sfide dell’Europa attua- le – il terrorismo, l’economia e i migranti – stanno generando una preoccupante “cultura della paura”».

Paura di cosa? «Di vivere in una società senza identità, sempre più complessa e plurale. Paura dell’altro perché non lo si riconosce più come un nostro simile. Paura soprattutto nei confronti del forestiero. Che non solo è costretto a vivere come un apolide in terra straniera ma che, sempre più spesso, è diventato una sorta di capro espiatorio di tutti i mali della nostra società». Dalla paura ad atteggiamenti estranei alla storia e alla natura stessa dell’Europa il passo si fa sempre più breve.

Ecco perché, incalza Bassetti, è di «cruciale importanza sviluppare un nuovo ethos continentale che, partendo dalla valorizzazione delle propria anima storica, sappia sviluppare una cultura della carità e dell’incontro». Se c’è un «momento di proporre e agire» è questo, perché si addensano i segnali di un’inversione di rotta rispetto alla storia del continente, che non è solo luogo «geografico » ma «culturale, sociale e spirituale di antichissima tradizione». Non ci è consentito sperperare «un’eredità ricchissima» che Bassetti vede «condensata nel retaggio giudaico e cristiano, in quello greco e anche in quello romano », che insieme scolpiscono «un’identità viva e complessa».

Di questa genealogia è e resta figlia l’Europa, che «nasce come un luogo di incontro e come uno spazio di dialogo». Per questo allora, come scandisce il presidente dei vescovi italiani, «è davvero il momento di mettersi in gioco con gioia e gratuità » perché «abbiamo bisogno di più Europa», di «un’Europa dei popoli che sappia combattere la cultura della paura », che si opponga «con tenacia al terrorismo » e che «possa contrastare i rigurgiti di xenofobia di cui si odono gli strali».

Citando La Pira e Paolo VI, il cardinale parla della costruzione europea come di «un edificio prezioso ma in parte incompleto, un’istituzione ancora distante dai cittadini, e una realtà politica e culturale che necessita, senza dubbio, di pace e collaborazione» come anche di «una sempre maggiore unità politica ». In gioco c’è la «salvaguardia della dignità della persona umana», possibile se l’Europa resta anche davanti alle grandi questioni che la fronteggiano come uno «spazio di incontro», anziché «rifiutare se stessa» come ha fatto negli ultimi decenni «abbracciando un umanesimo ateo che sembrava calarsi drammaticamente alla perfezione nei nuovi abiti della modernità».

Ciò che ora serve è invece «la libertà di intraprendere strade nuove, la responsabilità di farlo pensando alla generazione future» e assumendo gli obiettivi indicati dal Papa ai politici europei per il Premio Carlo Magno e, più di recente, nell’anniversario dei Trattati di Roma: «Investire nella vita, nella famiglia, nei giovani», parole che, conclude Bassetti, incoraggiano «a guardare al futuro, senza perdere la speranza».

Certo, occorre dotarsi di realismo come antidoto agli ideologismi che rendono ardua la soluzione di nodi come la cittadinanza ai figli dei migranti. Tema sul quale l’europeista Prodi è perentorio. «I ragazzi che incontro dalle mie parti parlano metà italiano e metà dialetto reggiano: altro che stranieri, sono italiani, vanno inclusi e integrati, resi cittadini. Sono loro che garantiranno a questo Paese di resistere alla crisi demografica, loro che imparano i lavori necessari al nostro sviluppo, loro che assicureranno sostenibilità al sistema pensionistico». Ma anche questa soluzione dipende da «quanto ci sentiamo europei, e quanto l’Europa rimane fiera davanti al mondo della sua identità e dei suoi princìpi. Un’Europa debole lascia spazio ai Paesi più forti, e non sarà mai solidale come è necessario per affrontare la sfida delle migrazioni».

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