giovedì 24 marzo 2016
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ROMA C’erano una volta le 'baraccopoli', abitate dagli anni ’50 da ciociari, abruzzesi, pugliesi, immigrati nella Capitale. Nel 1960 l’Istat conta 13.684 famiglie baraccate, oltre 50mila persone. Parlamento e Campidoglio investono in edilizia residenziale pubblica e nei primi anni ’80 si abbattono le ultime baracche trasferendo 1.513 famiglie. Su quelle macerie però cominciano a insediarsi i rom in fuga dalla Jugoslavia in disfacimento. Stesso copione, ma stavolta il nodo è affrontato «con l’abbaglio che i nuovi migranti siano diversi da quelli del dopoguerra: 'cittadini nomadi che non sanno e non desiderano vivere in abitazioni ordinarie'». Niente casa, ma «campi nomadi », anzi «villaggi attrezzati o della solidarietà». Strutture comunali emarginanti, che l’agenzia Onu Un-Habitat definirebbe semplicemente «baraccopoli », che costano un fiume di milioni. L’Associazione 21 luglio, in vista delle elezioni per il Campidoglio, ha presentato una «Agenda politica per ripartire dalla periferie dimenticate»: «Chiedere ai candidati come affrontare il problema dei rom è una domanda che contiene la trappola dell’etnicità. Il sindaco Petroselli non si è mai posto la questione dell’origine etnica». Allora «la domanda giusta è: 'qual è il suo programma sulle baraccopoli, abitate da 8 mila italiani, romeni, serbi, peruviani, bosniaci?'». Ma il piano di emergenza abitativa della Regione Lazio stanzia 250 milioni per 1.200 alloggi escludendo i 'baraccati'. Alla presentazione dell’Agenda arrivano i candidati Roberto Giachetti del Pd, Stefano Fassina di Si, Virginia Raggi di M5S . «Prima di parlare voglio studiare – dice Giachetti – sicuramente qualcosa di queste idee sarà nel mio programma». «È un tema sociale, non etnico – concorda Fassina – e mi impegno a chiudere i campi: alla fine spenderemo meno». «L’Agenda ricalca la strategia europea per il superamento dei campi – dice Raggi – e noi abbiamo sempre spinto per queste linee guida e così continueremo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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