sabato 3 novembre 2012
​Uno studio degli analisti di Palazzo Koch calcola l’ammontare del debito delle migliaia di amministrazioni locali. In obbligazioni, prestiti e "pagherò" vari, gli enti più indebitati si trovano nei territori di Lazio, Piemonte, Campania, Lombardia e Sicilia. E il conteggio non include parte dei crediti vantati dalle imprese.
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​A riaccendere i riflettori sul problema era stato, nei giorni scorsi, il caso Piemonte: «La Regione è tecnicamente fallita», aveva dichiarato l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino, facendo fare un balzo sulla sedia al governatore Roberto Cota, che si era affrettato a puntualizzare: «Abbiamo un debito di 10 miliardi, ma non stiamo per fallire. Asciugheremo le voci di spesa e, entro il 2015, lo porteremo a 5 miliardi». Ma la questione non riguarda solo il Piemonte, né solo le Regioni. Per quale cifra sono indebitate le amministrazioni locali italiane? Quanto debbono ai propri creditori (sotto forma di prestiti bancari, obbligazioni emesse in Italia e all’estero, pagamenti per forniture e altro) le 20 Regioni, le 107 Province, gli 8mila Comuni e la folta schiera di asl e ospedali che punteggiano la penisola? La risposta sta in uno studio della Banca d’Italia, appena pubblicato nella collana dei «Supplementi al Bollettino Statistico». Al 30 giugno 2012, il totale è di «116 miliardi e 879 milioni di euro», cioè 1.948 euro per ciascun italiano, così suddivisi: «40 miliardi e 186 milioni» in capo alle Regioni; «9 miliardi 187 milioni» alle Province; «50 miliardi e 244 milioni» ai Comuni; e infine «17 miliardi e 262 milioni» ad «altri enti», fra i quali rientrano Asl e strutture ospedaliere. Nello studio (elaborato dalla divisione Finanza pubblica e che passa in rassegna il monte debiti contratto nelle annate fra il 2006 e il 2011) si prendono in esame le singole Regioni come entità geografiche, riscontrando il maggior volume di indebitamento nel Lazio (19,7 miliardi, in calo rispetto ai 20,5 del 2010), Piemonte (16,1, in netto aumento rispetto ai 14,5 del 2010 e soprattutto agli 11 del 2006), Campania (13,4 miliardi, nel 2006 erano 9,3) e Lombardia (12,8 miliardi, stabile). Quinta è la Sicilia, con 7,7 miliardi, poi vengono Veneto (6,9), Toscana (6,8) ed Emilia Romagna (6,5). Quindi, il gruppone degli altri territori, chiuso dalle due Regioni dove gli enti locali spendono meno: Molise, con 498 milioni di debiti sparsi fra le varie amministrazioni, e Valle d’Aosta con 455.Com’è loro costume, gli analisti di Palazzo Koch non commentano le proprie statistiche. Tuttavia, nelle 25 pagine dello studio non mancano notazioni introduttive e valutazioni di metodo. E se qualcuna di esse non pare rassicurante (nell’ammontare totale del debito non è conteggiato quello in cui parte creditrice e debitrice siano entrambe amministrazioni pubbliche), qualche altra invece conforta: a fine 2011, il macigno sugli enti locali era di 117,4 miliardi (il 6,2% del debito delle amministrazioni pubbliche e il 7,4 del Pil), ma nei primi sei mesi del 2012 è calato di circa mezzo miliardo. Un refolo positivo, figlio dell’attenzione alla Spending review propugnata dal governo Monti? Presto per dirlo. C’è poi una preoccupazione, che aleggia fra le righe dello studio. Per le voci d’indebitamento, il rapporto si attiene alle regole Eurostat, delineando cinque maxi-categorie: i debiti derivanti da «titoli emessi in Italia» e «all’estero» (come le obbligazioni emesse da Comuni, Province e Regioni per finanziarsi); i prestiti «da parte di Istituti finanziari e casse italiane, quelli di banche straniere; e infine le «altre passività», fra cui leasing finanziari e cartolarizzazioni. (comprese le cessioni pro soluto di crediti commerciali vantati da imprese fornitrici a banche, che ne accettano il rischio). Mancano però, si legge in una nota, le pendenze «che traggono origine dalla dilazione di pagamenti connessi con forniture di beni e servizi». Tradotto, significa che buona parte dei debiti di Regioni e altri enti locali con imprese private, nel settore sanitario ma anche in altri comparti, non sono conteggiati. Proprio quelli che in gran parte, da gennaio, per il recepimento della direttiva europea contenuto nel decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì notte, saranno esigibili a 30 o (nel caso della sanità) 60 giorni. Cosa avverrà ai bilanci degli enti locali, e ai servizi erogati, quando a fine febbraio i creditori potranno passare all’incasso? L’interrogativo agita il sonno di migliaia di amministratori locali. E fra pochi mesi, non sarà più possibile rimandare la risposta.
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