martedì 29 marzo 2016
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E un marocchino di Brescia è collegato a un covo di Bruxelles ROMA Spostamenti attraverso l’Italia in direzione della Grecia, pernottamenti in albergo, documenti contraffatti, ma anche un collegamento con una «fabbrica» di esplosivi scoperta dalla polizia belga. A una settimana dalle bombe che hanno insanguinato Bruxelles, nelle pieghe delle indagini sulla cellula di attentatori compaiono tracce e link di collegamento con l’Italia, relative a quattro elementi: i cittadini belgi Khalid El Bakraoui e Salah Abdeslam, componenti delle cellule degli attacchi a Parigi e a Bruxelles; l’algerino Djamal Eddine Ouali, arrestato dalla polizia italiana su richiesta belga perché sospettato di falsificare documenti; Mohammed Lahlaoui, marocchino arrestato in Germania due giorni dopo le stragi di Bruxelles, che aveva vissuto in Lombardia fra il 2004 e il 2014. Il kamikaze che dormì a Venezia. El Bakraoui (il kamikaze del 22 marzo nella metro belga di Maelbeek) sarebbe atterrato alle 8.25 del 23 luglio 2015 all’aeroporto di Treviso con un volo Ryanair proveniente da Bruxelles. Secondo SkyTg24, il biglietto era stato acquistato con carta di credito da un altro uomo (Abderahman Benamor) e al check-inBakraoui si è registrato con un documento d’identità belga (tra gli alias avrebbe usato anche quello di un ex gioca- tore dell’Inter). Il giorno dopo, si è di nuovo registrato su un aereo Volotea, in partenza dall’aeroporto di Venezia alle 6 verso Atene: nelle 22 ore rimaste ha pernottato all’hotel Courtyard by Marriott Venice Airport di Venezia. Qui, il primo buco nelle maglie della rete: all’epoca era ricercato dalle autorità belghe, che però non avevano inviato nessuna segnalazione all’Italia. Salah e lo snodo di Bari. Una settimana dopo, tocca a Salah passare in Italia: il 1° agosto è a Bari, in auto con un amico, per imbarcarsi per la Grecia. Nei 4 giorni successivi sparisce (secondo un’ipotesi investigativa, potrebbe essere giunto fino in Siria) e torna a Bari il 6 agosto, col traghetto proveniente dalla Grecia. Nel viaggio di ritorno verso Bruxelles usa 3 volte la carta di credito, per fare rifornimento, e poi lascia l’Italia. Salah a parte, Bari resta uno snodo di rilievo: c’è già un’inchiesta della procura sulla fornitura di documenti a foreign fighters di ritorno da Siria e Iraq, che ha portato all’arresto di un 38enne iracheno, Ridha Shwan Jalal (che mesi prima, in un’agenzia a Matera, aveva chiesto un preventivo per 20 biglietti aerei dall’Iraq a Parigi. Gli iracheni sarebbero dovuti partire a gruppi di 5 dall’aeroporto di Sulayrmaniyah, nel Kurdistan, e arrivare a Parigi dopo uno scalo ad Istanbul). Eddine, documenti falsi a Salerno. C’è poi il 39enne algerino Djamal Eddine Ouali (nato a Bejala il 31 gennaio 1976) arrestato sabato dalla Digos di Salerno sulla base di un mandato di cattura internazionale della magistratura belga, che lo accusa di aver fornito falsi documenti agli attentatori di Bruxelles: «Non sono un terrorista, non so nulla di terrorismo né di documenti falsi», è la sua difesa. E la stessa comunità del paese di Bellizzi, dove abita, si dice incredula e sconcertata. Nelle more del procedimento di estradizione richiesto dal Belgio, si indaga anche per accertare cosa abbia fatto in Italia negli ultimi tre mesi (era entrato ad inizio gennaio dal Brennero), chi abbia incontrato e con chi abbia avuto contatti. Lahlaoui e il covo belga. C’è infine Mohammed Lahlaoui, nato in Marocco nel 1987. Ha vissuto in Italia dal 2004 e a Vestone, nel Bresciano, tra il 2007 e il 2014, alternando arresti per reati contro il patrimonio e la persona e periodi di libertà. Due anni fa, l’Italia lo ha espulso, ma lui è riuscito a trovare il modo per spostarsi in Germania. Secondo quanto riferiscono alcune fonti investigative estere ad Avvenire, gli inquirenti belgi e tedeschi avrebbero trovato Lahlaoui, al momento dell’arresto, in possesso di un documento con l’indirizzo di un covo di Bruxelles, dove la polizia ha scoperto una pipe bomb (un ordigno artigianale) e una 'fabbrica' di esplosivi. Indagini su altri contatti. A partire dalle tracce seminate dai quattro, i poliziotti dell’Antiterrorismo e i carabinieri del Ros stanno cercando di 'mappare' una possibile rete di altri soggetti presenti in Italia, partendo dai nomi emersi dalle indagini di Parigi e Bruxelles e includendo nei riscontri (conversazioni in chat, tabulati telefonici, contratti d’affitto, noleggi auto, pagamenti con carte e bancomat) alcune decine di persone già sotto osservazione da tempo. Un lavoro meticoloso, necessario per capire se il nostro Paese funga ancora, come in passato, solo da base logistica e di transito o se sia sia davvero attiva, in pianta stabile, una vera e propria 'costola' del Daesh. © RIPRODUZIONE RISERVATA La rivelazione
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