venerdì 24 luglio 2015
Dopo la maxiretata partita da Reggio Calabria, ecco la diagnosi dei pm: patto scellerato tra camorra, Cosa nostra e 'ndrine per gestire i ricavi delle scommesse online. DOSSIER L'INTERVENTO Il silenzio del governo sulle azzardo-mafie (Paola Binetti)
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Esiste «un patto scellerato tra camorra e ’ndrangheta» per gestire il grande affare dell’azzardo e in particolare quello delle scommesse online. Lo scrivono i magistrati della Procura di Reggio Calabria nell’ordinanza di custodia cautelare per l’operazione Gambling che due giorni fa ha colpito pesantemente con 41 arresti e sequestri per due miliardi di euro, l’organizzazione legata ai clan calabresi. Organizzazione guidata da Mario Gennaro 'Mariolino' che, si legge nel documento, «si era adoperato, per conto della ’ndrangheta unitariamente intesa, per garantire la controllata diffusione sul territorio di alcuni siti illeciti, oggetto di un patto criminale con gli imprenditori Grasso e Padovani espressione rispettivamente della camorra e della mafia siciliana». Una storia che parte da lontano, dall’inchiesta Hermes della Dda di Napoli, guidata allora dall’attuale procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. In quell’inchiesta, si legge ancora «era stato accertato come i principali protagonisti del sistema criminale investigato: Grasso Renato e Padovani Antonio nell’anno 2006, avessero gestito una serie di brand (tra cui quello Sport and Games) operativi nel settore dei giochi e scommesse on-line tramite le società Betting 2000 S.r.l. ed A.P. Games S.r.l., in relazione solidale con individuati esponenti di primo piano della camorra e della mafia ed altri – rimasti ignoti in quell’indagine – della ndrangheta». Il fatto inquietante è che proprio «grazie a tali legami quelle società si erano aggiudicate plurime concessioni rilasciate dal Monopolio di Stato per la gestione ed il controllo di sale scommesse, molte delle quali aperte sotto l’insegna: 'Sport and Games'». Un fatto che smentisce ancora una volta l’affermazione che la legalizzazione dell’azzardo abbia tenuto fuori le mafie. Tutt’altro. Favorita da quella «carenza dei controlli» denunciata ieri su Avvenire dal procuratore Cafiero de Raho, secondo il quale «lo Stato si accontenta di incassare la sua quota». Oltretutto molto bassa. È infatti ben noto che la tassazione sull’azzardo è «di favore», ancora più quella sulle scommesse online, addirittura la metà di quella sulle slot (circa il 20% contro oltre il 40%). E questo spiega il crescente interesse delle mafie. Al punto da creare le alleanze scoperte dai magistrati reggini. A conferma ci sono anche le recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale Balzano, Giuseppe Missi e Mariano Mirante che nello scorso dicembre hanno rivelato le «relazioni privilegiate che il Grasso aveva mantenuto con esponenti della ’ndrangheta, per garantire la diffusione sul territorio calabrese dei siti e brand del sistema criminale. Tale relazione di solidarietà era valsa, tra l’altro, l’ampia diffusione sul territorio calabrese del brand 'Sport and Games', grazie agli accordi pattuiti con esponenti della ndrangheta, alla stregua di quanto avvenuto con loro stessi (ed altri camorristi) in Campania e con esponenti di Cosa Nostra in Sicilia». Ora dall’inchiesta della Dda reggina finalmente emergono i nomi degli alleati ’ndranghetisti degli imprenditori campani e siciliani espressione di camorra e Cosa Nostra (condannati per questo fino alla Cassazione). Infatti, si legge ancora nell’ordinanza di due giorni fa, «sussistono precisi elementi individualizzanti che consentono la sicura identificazione del nucleo di soggetti coordinati da Mario Gennaro, impegnati a promuovere i prodotti gestiti dal duo Grasso-Padovani. Sono proprio costoro, perciò, i rappresentanti della ’ndrangheta evocati dai collaboratori di giustizia campani, quali soggetti con cui l’organizzazione investigata nell’indagine Hermes era venuta a patti (al pari di quanto avvenuto con la camorra e con la mafia) per la diffusione commerciale del sito sul territorio». Su questo, oltre al prezioso contributo dei collaboratori di giustizia, «sono state acquisite una consistente mole di conversazioni». Prove che ormai accertano come questo 'patto scellerato' abbia garantito «l’infiltrazione dell’associazione mafiosa nel mercato e lo sfruttamento delle straordinarie possibilità di riciclaggio che quel sistema consentiva». 

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