martedì 11 febbraio 2014
Duro atto d’accusa nella relazione annuale della Procura antimafia: le liberalizzazioni non hanno tolto risorse ai clan. E i controlli non bastano. Calo di giocate nel 2013: primo saldo negativo.
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Le liberalizzazione del gioco d’azzardo non ha tol­to «risorse alla criminalità», piuttosto «progressi­vamente, e anzi esponenzialmente, è aumenta­ta l’infiltrazione nel settore della criminalità organizza­ta » che «sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco». Grazie anche ad «un’imprenditoria collusa a sua volta legata ad ambienti istituzionali». E questo an­che a fronte di un calo della giocate di poco più del 3%, riscontrato per la prima volta nel 2013. Lo scrive la Di­rezione nazionale antimafia (Dna) nella Relazione an­nuale, datata gennaio 2014. Parole che seguono quan­to detto due giorni fa ad Avvenire dal capo della Dna, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. «La le­galizzazione non ha sottratto spazi ai clan perché que­sti fanno sempre un’offerta concorrenziale». E nella Re­lazione questa affermazione è rafforzata nel capitolo «Infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco (an­che) lecito», elaborato dal consigliere della Dna, Diana de Martino. Capitolo che, a conferma della gravità del­la situazione, cresce rispetto a quello dello scorso anno, passando da 15 a 20 pagine, il più lungo della Relazio­ne subito dopo quello dedicato al 'narcotraffico'. E an­che questo la dice lunga sugli attuali affari delle mafie. «In definitiva – si legge ancora – la criminalità organiz­zata sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco, evidenziando un legame sempre più intenso ed avanzato con l’imprenditoria. Le organizzazioni crimi­nali esprimono, o si alleano, con soggetti particolar­mente dotati sotto il profilo imprenditoriale, capaci di gestire complessi meccanismi aziendali, di sovrainten­dere a più società che offrono diverse tipologie di gio­co, e in grado di gestire una serie di 'punti gioco', so­vente dislocati in varie parti del territorio nazionale. Si tratta dunque di vere e proprie imprese criminali».Ma attenzione, avverte la Dna, «la presenza mafiosa nel settore non deve essere intesa come una deriva limita­ta al gioco illegale, essa si estende infatti anche al peri­metro delle attività legali». Parole molto chiare seguite da una raffica di esempi: «Ciò avviene – si legge infatti – quando i clan impongono a tutti i bar esistenti nel loro territorio di 'mettere' le new slot e di noleggiarle dalle ditte ad essi riconducibili; o quando investono i loro ca­pitali acquisendo la gestione di sale giochi o bingo allo scopo di moltiplicare rapidamente l’investimento. Si tratta di attività formalmente legali, gestite però con me­todi e capitali criminali». E il 'boom' del gioco ha sicuramente aiutate le cosche. Anche qui la Procura antimafia è chiarissima. «Non vi è dubbio che l’enorme incremento che ha avuto la diffu­sione del gioco negli ultimi 10 anni, in cui la raccolta uf­ficiale è quadruplicata passando da 20 ad 80 miliardi, ha fatto parallelamente crescere gli appetiti delle mafie, che hanno investito nei settori che più incontrano i gradi­menti del pubblico (new slot e scommesse on line) ed hanno anche sviluppato adeguate professionalità spe­cializzando, per così dire, alcuni affiliati nello specifico settore». Un affare nel quale tutte le mafie si sono lan- ciate. «Si può tranquillamente affermare – prosegue la Relazione – che gli interessi in gioco sono tali che tut­te le mafie tradizionali 'investono' nel settore». E tan­to per dare «un’idea del volume di soldi che muove il comparto» cita Renato Grasso, «imprenditore che si e­ra alleato con tutti i più grandi clan camorristici per imporre le sue 'macchinette' nelle zone da essi con­trollate » e che versava - soltanto al clan dei casalesi ­ la somma mensile di 100mila euro». La legalizzazione non ha dunque tento fuori i clan. E qui la Dna usa parole pesanti. «Sono stati del tutto fru­strati gli intendimenti del legislatore che, con le libera­lizzazioni del 2003 e con i successivi provvedimenti, in­tendeva accrescere l’offerta di gioco per attirare e fide­lizzare i giocatori al sistema del gioco legale e drenare così risorse alla criminalità. La diffusione del gioco è sì aumentata (con una serie di implicazioni sociali su cui non è compito di questo Ufficio soffermarsi) ma pro­gressivamente, ed anzi esponenzialmente, è aumenta­ta l’infiltrazione della criminalità mafiosa». Contro questa infiltrazione i controlli sono insufficien­ti, denuncia la Procura. «La normativa più recente ha ten­tato di introdurre alcuni presidi per contrastare tale in­filtrazioni... tuttavia le indagini che sono state portate a compimento dalle Dda, ed ancor più quelle ancora in corso, evidenziano la persistente incapacità di effettua­re seri e sistematici controlli sulla galassia degli opera­tori a causa della scarsità di personale idoneo, la diffi­coltà di attivare efficaci procedure sanzionatorie pur in presenza di gravi violazioni da parte dei concessionari, e - più in generale - un radicato sistema di connivenze che investe ora funzionari pubblici, ora appartenenti alle Forze dell’ordine e che di fatto agevola in modo con­sistente le organizzazioni criminali che operano nel set­tore ». E c’è di peggio perché, conclude la Relazione, «da alcuni procedimenti emerge un sistema di relazioni di potere che lega le organizzazioni mafiose ad un’im­prenditoria collusa, che in alcuni casi risulta a sua vol­ta legata ad ambienti istituzionali». 
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