mercoledì 4 dicembre 2013
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Tra poco più di un anno aumenterà di nuovo il prezzo della benzina. Il governo l’ha deciso lo scorso 22 novembre. E l’altro ieri, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, la notizia è diventata certa, purtroppo. L’obiettivo è quello di recuperare circa 1,3 miliardi di risorse che – è già largamente previsto – non arriveranno.Questo baratro è stato scavato da una serie infinita di mancati introiti, ipotesi fallimentari, spese che non si ha il coraggio di tagliare. Ma anche dall’obiettivo di colmare il buco di circa 300 milioni causato dalla decisione di alcune delle società concessionarie dell’azzardo di non aderire alla sanatoria proposta dal governo. La notizia arriva da una fonte insospettabile, l’agenzia Agipronews che si occupa appunto di giochi, pronostici e scommesse. Visto che le entrate derivanti dalla «definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile» ammontano a circa 340 milioni invece dei 600 previsti, il governo ha pensato – anche a causa di questo ammanco – di attivare la cosiddetta clausola di salvaguardia. Che tradotto significa appunto, aumento del prezzo della benzina.Insomma, visto che i signori dell’azzardo hanno deciso di non corrispondere quanto dovuto – in base alla sentenza della Corte dei conti del 2011 – le conseguenze devono essere pagate da tutti i cittadini. La vicenda, tanto straordinaria quanto paradossale nelle sue dimensioni, è già stata raccontata tante volte su queste pagine. Dal 2004 al 2010, secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza, i giudici contabili hanno stabilito che le dieci concessionarie dell’azzardo avrebbero evaso la cifra siderale di 98 miliardi. Un triste record ottenuto evitando di collegare migliaia di macchinette mangiasoldi al cervellone dei monopoli. Il debito si è poi via via asciugato, grazie a ricorsi e battaglie legali, fino ai circa 600 milioni ipotizzati dal governo come sanatoria definitiva. Insomma, una somma di scandalose ingiustizie a cui ora si aggiunge l’ultima vergogna. Quel debito dobbiamo pagarlo anche noi. Scelta inaccettabile sul piano morale e abominio giuridico, se è vero che un debito privato finirà per gravare su tutti i cittadini, cioè diventare una questione collettiva.
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