sabato 23 maggio 2015
Anche quadri di Dalì e De Chirico nel tesoro del “re dei videpoker” che ora è dello Stato. La Cassazione ha respinto il ricorso degli avvocati di Gioacchino Campolo, condannato a 16 anni di carcere per estorsione. 
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Trecentotrenta milioni di euro, il tesoro del “re dei videpoker”, ora sono dello Stato. La Cassazione ha infatti respinto il ricorso degli avvocati di Gioacchino Campolo, imprenditore dell’azzardo di Reggio Calabria, considerato organico alla ’ndrangheta, condannato definitivamente a 16 anni di carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver imposto a vari esercizi commerciali, grazie al sostengo dei clan, la proprie “macchinette”. Ora  arriva anche la confisca definitiva di tutti i suoi beni, frutto dei ricchissimi affari non solo in Calabria ma anche in altre regioni, grazie a apparecchi legali ma truccati che gli permettevano maggiori incassi. Un vero impero che dalla città dello Stretto, con l’appoggio di varie ’ndrine, si era espanso in tutta l’Italia. Lo dimostra la quantità e qualità del tesoro compresi 107 quadri, non croste ma una delle più importanti collezioni private italiane: opere di Picasso, Salvador Dalì (“Giulietta e Romeo”), Giorgio De Chirico (“Piazza d’Italia” e “Manichino”), Antonio Ligabue (“Tigre e serpente” e “Scoiattolo”), Renato Guttuso (“Nudo femminile 1971”), Sironi (“Studio per un nudo”), Arrigoni, Purificato, Bonalumi, Fontana, Cascella ma anche quadri del ’500 e del ’600. Opere che il “re dei videopoker” teneva appese nella sua grande casa e che ora, lo ripetiamo, sono diventate definitivamente proprietà dello Stato e saranno “gestite” dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati e sequestrati. Si spera nel modo migliore. Evitando di smembrare la collezione e magari donandola in comodato d’uso gratuito (la legge lo permette) al museo di Reggio Calabria, da poco ristrutturato, che ospita i famosissimi “Bronzi di Riace”. E magari, sarebbe auspicabile, con dei bei cartelli che oltre al nome del quadro e dell’autore riportino “confiscato alla criminalità organizzata”. Sarebbe davvero doppiamente educativo. Ma non sarà meno importante le destinazione del resto del “tesoro” di Campolo: 260 immobili di pregio (anche palazzi storici) in Calabria (compreso quello che ospita la sede del Tribunale di sorveglianza), ma anche a Roma, Milano, Taormina e Parigi, 126 locali commerciali, 56 terreni, 15 tra auto e moto, conti correnti, titoli, polizze assicurative, oltre al patrimonio aziendale e alle quote sociali della Grida srl e della Sicaf srl, e l’intero patrimonio della ditta individuale Are. Le società dei videpoker. Tutto sequestrato nel 2010 e che dopo cinque anni giunge alla confisca definitiva. Quale destinazione avranno dopo tutti questi anni di gestione affidata agli amministratori giudiziari? Toccherà all’Agenzia valorizzarli al massimo e non solo in termini economici, visto l’alto valore simbolico dei beni confiscati alle mafie. Ricordiamo che Campolo, accusato dalla Guardia di Finanza anche di evasione fiscale per quasi 8 milioni di euro, venne coinvolto in ben due operazioni, “Geremia” e “Les Diables” che avevano disarticolato il suo impero delle “macchinette”, nato nel 1982 e che era andato avanti fino all’arresto nel 2009. E questo grazie alla «collaborazione di esponenti di spicco della criminalità organizzata», come si leggeva nel primo decreto di sequestro. In particolare con le “famiglie” di Archi, il quartiere dominato dalle più potenti cosche reggine, dai Tegano ai Condello ai De Stefano, coi quali Campolo aveva rapporti strettissimi. Da loro otteneva la protezione fondamentale per garantirsi il monopolio, in cambio forniva soldi e beni, anche durante la latitanza dei boss (compresi alimenti provenienti delle sue tenute in campagna). Insomma, denunciavano i magistrati, «ha inteso servirsi costantemente e sistematicamente dei vantaggi illeciti derivanti dalla sua condizione di soggetto colluso con la ’ndrangheta e quindi protetto e spalleggiato da questa». Così ha accumulato per quasi trenta anni il suo ricchissimo “tesoro” che ora è tornato allo Stato, alla comunità, per essere utilizzato nel modo migliore.
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