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La sintesi migliore è quella offerta da Matteo Richetti: «Stiamo facendo tutti una figura del cavolo». In parte perché il partito unico era la promessa che ha convinto oltre due milioni di elettori a scegliere il Terzo polo alle ultime elezioni, in parte perché i bisticci dei giorni scorsi tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, con annesso «naufragio» del progetto, per dirla con il fondatore di Azione, danno ragione al più banale degli argomenti avanzato dai detrattori della prima ora: con due galli a cantare non si fa mai giorno. L’epilogo di ieri dimostra che è andata proprio così, ma il punto, ora, è capire come andare avanti da separati in casa, visto che i gruppi e i ruoli in seno al Parlamento sono frutto della federazione dei due partiti e una rottura a tutti gli effetti, oltre a essere molto complicata, danneggerebbe entrambe le forze.
A mettere la parola fine al sogno centrista è stato proprio Calenda che in un video postato su Twitter ha voluto «spiegare il perché e il per come» della rottura. Del resto, appunto, il partito unico era «una promessa fatta durante le elezioni, ma dopo si è capito abbastanza chiaramente che Renzi non lo voleva fare prima delle europee». Una visione, ha spiegato ancora il leader di Azione, «a cui ci siamo opposti», perché «pensiamo che andare avanti con una federazione senza avere un unico corpo e una concentrazione di risorse sia una cosa sbagliata. Tuttavia», ha aggiunto «mi è stato chiaro che questo progetto non andava da nessuna parte quando Renzi ha fatto non un passo di lato, ma cinque passi avanti, riprendendo Italia viva e diventando plenipotenziario. Il rapporto di fiducia si è logorato». Ma il punto cruciale è stata «l’indisponibilità» del leader fiorentino «a sciogliere in qualsiasi caso Italia viva e a prendere un impegno per passare le risorse di Italia viva al nuovo partito», che sarebbe nato senza il 2 per mille e le europee da affrontare.
Renzi ovviamente ha replicato rispedendo al mittente le accuse nel corso della riunione dei parlamentari di Iv nel pomeriggio: «Abbiamo fatto di tutto, ci abbiamo provato. Ma Calenda aveva già deciso», portando un «attacco a freddo e senza ragione politica», come l’hanno definito i partecipanti alla riunione. In serata è arrivata anche una nota ufficiale del partito che in buona sostanza ha ribadito quanto espresso dal leader, confermando «il via libera di Italia viva al progetto del partito unico», ma lamentando «gli ultimatum surreali» avanzati da Calenda.
Tutto finito, insomma, anche se c’è chi continua a crederci. Tra questi, per esempio, il braccio destro dell’ex ministro dello Sviluppo economico, Richetti, convinto che «un Terzo polo nascerà a prescindere», anche senza Iv. Mentre dalla parte opposta è stato Ettore Rosato a ricordare che «in politica non bisogna mai dare nulla per definitivo» e che «sarebbe bene mettere da parte gli scontri e pensare in prospettiva». Il partito unico, ha insistito, «prima o poi riusciremo a farlo».
Per quanto riguarda i gruppi parlamentari, invece, sembra che da nessuna delle due sponde del tandem centrista ci sia voglia di andare fino in fondo e anche Calenda ha confermato in serata che resteranno quelli attuali. La capogruppo in Senato, Raffaella Paita, lo ha fatto capire chiaramente, auspicando «che si possa continuare a lavorare insieme nelle istituzioni, anche perché abbiamo lavorato molto bene». D’altronde «oggi (ieri per chi legge ndr.) abbiamo portato a casa due provvedimenti importanti, Italia sicura e Industria 4.0. A dimostrazione del fatto che abbiamo dialogato con senso di squadra». La realtà però è che non sarà facile e l’annullamento del Comitato per il partito unico in programma ieri lo dimostra.
Resta il sollievo per il Pd e per Elly Schlein, nonostante i malumori dei riformisti dopo la composizione della segreteria: l’approdo “sicuro” per chi pensava di andarsene non c'è più.