mercoledì 23 giugno 2010
Il legale: «Il mio assistito non ha nulla da nascondere». Bruno Von Arx ribadisce di ritenere tuttavia che la competenza dell'inchiesta non appartenga a Perugia ma alla Procura di Roma. Acquisite nuove carte.
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    «Il cardinale Crescenzio Sepe non ha nulla da nascondere e parlerà presto con i magistrati». Lo assicura l’avvocato Bruno Von Arx, annunciando che si metterà in contatto con i magistrati di Perugia «per stabilire – ha spiegato – i passi da compiere verso la rapida fissazione della data in cui svolgere l’interrogatorio». Pur ritenendo che la competenza territoriale dell’inchiesta non appartenga a Perugia ma a Roma, «noi – ribadisce Von Arx -, restiamo a piena disposizione dei pm umbri». Nell’inchiesta di Perugia sull’intreccio fra appalti pubblici e favori ai politici, il gip Massimo Ricciarelli ha disposto ieri la sospensione per 8 mesi dei rapporti con la pubblica amministrazione per altre due delle sei aziende del gruppo di Diego Anemone, l’imprenditore al centro delle indagini. Si tratta del “Salaria sport village” e della “Società sportiva romana”. In realtà il provvedimento del magistrato umbro non vieta alle aziende del costruttore romano di partecipare alle gare d’appalto per asta pubblica, ma solo di non accedere agli affidamenti dei lavori per affidamento diretto. La decisione del giudice Ricciarelli di respingere il commissariamento delle aziende di Anemone segna una nuova presa di distanza dai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Già nei giorni scorsi il gip aveva stabilito un analogo divieto per altre quattro aziende del gruppo, dopo essersi però pronunciato contro la competenza territoriale della procura di Perugia, poi confermata dal Tribunale del Riesame.Anemone, scarcerato lo scorso 9 maggio per decorrenza dei termini, è indagato per corruzione ed è considerato una delle figure centrali dell’inchiesta condotta sugli appalti per le grandi opere, in cui è indagato tra gli altri il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, e che ha avuto anche ripercussioni sul mondo politico. L’ex ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, coinvolto nell’inchiesta - portata avanti in tre filoni, dalle procure di Perugia, Firenze e Roma - si è dimesso lo scorso 4 maggio ma, atteso per un incontro non si è mai presentato, ritenendo anch’egli territorialmente incompetenti i pm umbri. Su Scajola stanno affluendo una serie di informative che i magistrati, a quanto di apprende, stanno valutando in vista di nuove decisioni.L’attività di indagine prosegue su più fronti. A cominciare dall’esame della documentazione acquisita da Daniele Anemone, fratello dell’imprenditore Diego. A sorpresa Daniele si è recato in procura accompagnato dai suoi legali e da un tecnico informatico. I legali hanno spiegato che è stata effettuata copia delle memorie dei computer di Diego Anemone, sequestrati il 10 febbraio scorso. In particolare sono state duplicate le due “liste” sui lavori svolti dalle aziende del gruppo. Elenco che contiene centinaia di nomi di politici, uomini di spettacolo, ufficiali delle forze dell’ordine e di enti pubblici. Lasciando gli uffici giudiziari, Daniele Anemone ha ribadito che "non c’è stato nessun interrogatorio".La procura della Repubblica di Roma, a cui è stata assegnato un troncone dell’inchiesta avviata in Toscana, ha compiuto ieri il primo passo chiedendo la conferma degli arresti degli indagati tra cui Francesco Maria De Vito Piscicelli, Angelo Balducci e Fabio De Santis. Intanto sono stati acquisiti documenti riguardanti i lavori al palazzo di Propaganda Fide, in piazza di Spagna a Roma lavori che, secondo le ipotesi investigative, non solo vennero svolti solo in parte, ma quelli eseguiti furono fatti senza rispettare in pieno la normativa vigente e, in alcuni casi, non rispettandola affatto.
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