domenica 3 aprile 2016
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MILANO Palazzi delle istituzioni illuminati di blu e l’impegno a fare sempre di più e meglio per le famiglie che, tutti i giorni, assistono un parente autistico. Sono state tante, ieri, le iniziative in occasione della nona Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, patologia che colpisce nel mondo un bambino ogni 160 e interessa circa 100mila minori in Italia. Favorire l’accoglienza e promuovere la ricerca, sono state le due esortazioni contenute nel messaggio del presidente del Pontificio consiglio della pastorale degli operatori sanitari, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski. Il presule ha sottolineato la necessità di «favorire l’accoglienza, l’incontro, la solidarietà, in una concreta opera di sostegno e di rinnovata promozione della speranza, tenendo conto soprattutto del fatto che l’autismo si protrae per tutta la vita. Ne deriva – ha ricordato Zimowski – che solo l’alleanza tra i settori sanitario, sociosanitario ed educativo, nonché l’inserimento, ove possibile, in attività lavorative per accrescere l’autonomia personale, possono assicurare la continuità della presa a carico lungo l’arco della vita di questi nostri fratelli e sorelle». Sulla necessità di «sostenere la ricerca a tutto campo» ha insistito la deputata di Area Popolare, Paola Binetti. «Certamente – ha sottolineato – non siamo in grado di predire quando la scienza ci offrirà la chiave giusta per interpretare il mistero- autismo nelle sue cause, genetiche ed ambientali. Non siamo neppure in grado di immaginare quando le grandi case farmaceutiche potranno offrirci farmaci ad hoc. Ma siamo in grado di lavorare positivamente sul piano della formazione e della abilitazione- riabilitazione; e siamo in grado inoltre di predisporre una lista di buone pratiche messe a fuoco in famiglia, in vari contesti sociali e perfino nel lavoro». Iniziative che, come ricordato dal presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi, hanno contribuito a far sì che l’autismo oggi non sia più un «tabù». «Fino a pochi anni fa – ricorda Gazzi – di questa patologia si parlava poco e quasi con un senso di imbarazzo e di vergogna; le famiglie erano e si sentivano sole, la scienza non faceva quasi nessun passo in avanti. Ora il clima sembra davvero cambiato». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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