sabato 11 settembre 2010
Di Francesa Mansi è riemerso solo lo zaino. Il padre: mi è stata tolta dall'incuria del territorio. I geologi accusano: il letto del torrente Dragone era coperto da una strada e la parte finale era stata edificata.
- Soverato, 10 anni dopo ancora troppe zone d'ombra
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L’ hanno cercata a terra e in mare, hanno svuotato dall’acqua e dalla sabbia il locale dove lavorava come barista, ma di Francesca Mansi, 25 anni, laureata in Economia del turismo - indirizzo manageriale -, ingoiata dal fiume di fango che giovedì ha travolto Atrani, è emerso solo lo zainetto. Vittima di un’alluvione annunciata.Dal pomeriggio la pioggia ha squassato la montagna e il fango ha gonfiato il Dragone, che una leggenda locale vuole abitato da un drago, nascosto nel suo alveo. Ma il mostro, qui, ha spesso le sembianze dell’abusivismo edilizio e degli interventi di messa in sicurezza del suolo promessi e mai attuati: il maltempo funge solo da detonatore per il delicato equilibrio idrogeologico compromesso dal costante selvaggio assalto al territorio. La grande massa d’acqua che in poco tempo ha trasformato il torrente in un fiume impazzito ha raggiunto la zona del bacino idrografico dove avrebbe dovuto normalmente defluire, ma «il letto del fiume è stato coperto con una strada e la parte finale del fiume è stata completamente edificata», osserva la geologa Nicoletta Santangelo, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Napoli Federico II.Eppure è noto che questa zona è periodicamente colpita da alluvioni, osserva l’esperta, che da dieci anni sta studiando i bacini idrografici della Campania. «Dalle nostre ricerche - rileva - emerge che il 50% dei bacini idrografici della Campania presenta pericolosità di vario grado. Di questi, il 10% sono aree ad alto rischio e il 20-30% sono a media e bassa pericolosità. Tuttavia la gente se ne dimentica e ha scelto di costruire qui le abitazioni». Proprio lo scorso gennaio, il crollo di un costone, ancora ad Atrani, travolse la cucina di un ristorante e il cuoco che all’interno si accingeva a preparare il pranzo. Su questa nuova tragedia, la magistratura di Salerno ha aperto un fascicolo per disastro colposo.Adesso di Atrani, paesino incastonato nella costiera amalfitana tanto bello da essere tutelato dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, si riconosce ben poco, sepolto dal fango e da detriti di ogni genere: auto, motorini, mobili, frigoriferi, trascinati giù dalla piena. Anche il padre di Francesca Mansi, Raffaele, accusa: «Mia figlia - dice - mi è stata portata via dalla natura, dalla sfortuna, ma soprattutto, dall’incuria del territorio». L’ispettore di igiene ad Amalfi, da sei anni vedovo, padre di cinque figli, di cui l’ultimo ha 13 anni, non ha mai lasciato il luogo della tragedia, piazza Umberto I, il cuore di Atrani, diventata una palude. «Invito tutti a non litigare - continua - ma a dare attenzione al territorio. Quello che è accaduto è già accaduto altre volte qui, come in altri comuni della costiera. Anche in quelle occasioni ci furono vittime. Sbagliare è umano - e si riferisce agli appelli inascoltati sulla cura del territorio - ma perseverare è diabolico. Per mia figlia - conclude tra le lacrime - mi darò da fare affinché tutto il sistema si muova per fare qualcosa di concreto».La paura negli occhi, la rabbia nella voce, la gente di Atrani non riesce a dare risposte razionali a quanto è successo e cerca di ridare il bel volto a uno dei borghi più piccoli d’Italia. Il sindaco Nicola Carrano ha temuto che il paese potesse scomparire e ha chiesto lo stato di calamità, ma la considerazione è che il bilancio poteva essere di gran lunga peggiore: giovedì, infatti, era giorno di chiusura per molti negozi e la colata di fango è giunta prima che si riempissero i ristoranti. Altrimenti, dicono tutti, sarebbe stata un’altra Sarno dove, 12 anni fa, si contarono 160 croci per un’altra frana distruttiva.
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