giovedì 3 giugno 2010
Un gruppo di economisti ha messo a confronto le diverse fonti energetiche. Per i reattori investimenti iniziali più alti, ma la spesa elevata delle altre materie prime può rendere vantaggiosa l’operazione. Legambiente: ma gli oneri per l’elettricità saliranno.
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Quota 65. Con un valore del greggio che superi «quota 65» (dollari al barile) costruire impianti nucleari in Italia può essere infatti conveniente. Se invece si dovesse scendere al di sotto di questa soglia, sarebbe più redditizio continuare a puntare su petrolio e carbone. Fatti salvi i (molti) distinguo del caso, a partire dalle riserve di oro nero disponibili e dalla quantità di uranio importabile, è questa la linea di frontiera che può stabilire se vale la pena o no scommettere sull’atomo, secondo l’analisi fatta dall’Associazione italiana economisti dell’energia (Aiee). La materia è delicata e divide (manco a dirlo) imprese e ambientalisti, visto che sul piatto ci sono gli investimenti ingenti promessi dai colossi dell’energia da un lato e i benefici attesi sul conto della bolletta energetica da parte delle famiglie italiane dall’altro. Per questo è necessario mettere a confronto i costi di realizzazione di un impianto ex novo rispetto a quelli di una centrale a carbone o a gas.Per un reattore costi alti all’inizio«Il problema non è solo il costo dell’investimento, ma anche il peso dei tassi di interesse. È questo ciò che spiega perché la somma finale spesa è più alta rispetto alle previsioni iniziali» osserva Edgardo Curcio, presidente dell’Aiee, che ha pubblicato nei mesi scorsi un corposo manuale sul tema, dal titolo "L’opzione nucleare in Italia: quali prospettive?". Della correlazione tra prezzo del petrolio e quello del gas, si sa: più sale il valore del primo, più aumenta il costo del metano. «Più costa la materia, più essa incide sul costo della centrale» aggiunge Curcio. Sugli impianti a gas e carbone questa voce pesa per il 60% sul totale, mentre i costi strutturali si fermano al 40%. Il rapporto invece si ribalta se si considera una centrale nucleare: il peso dell’investimento iniziale è molto più alto (pari a circa l’80%) ed è questo ciò che maggiormente scoraggia gli investitori. Servono 2.600 euro per kilowattora prodotto, contro i 950 di una centrale a carbone (ipotizzando un prezzo medio di 42 euro per i permessi di emissione Co2) e i 550 di un impianto a gas. In termini di spese, dunque, lo svantaggio iniziale per la costruzione di un reattore è evidente, ma viene più che compensato dal costo d’acquisto delle materie prime: in particolare, con una proiezione del greggio a 130 dollari al barile nel 2020, il costo marginale di lungo periodo (che misura la redditività dell’investimento) sarebbe per una centrale nucleare solo di 68 euro per megawatt, contro i 101 euro della centrale a carbone e i 130 di un impianto a gas. «Se continua il trend rialzista dei prezzi delle fonti e contemporaneamente si rinforzano le politiche europee di prevenzione dei cambiamenti climatici – sostiene l’Aiee – la redditività di investimenti in nuovi impianti nucleari di terza generazione sul territorio italiano è molto appetibile».Gli oneri per il contribuenteStando al rapporto Aiee oggi, col greggio che veleggia tra i 70 e gli 80 dollari al barile (ieri valeva 72 dollari a New York) costruire un reattore sarebbe dunque economicamente vantaggioso. Lo ha confermato indirettamente nelle scorse settimane anche il presidente dell’Enel Fulvio Conti, secondo cui «i costi del nucleare sono inferiori del 20% a quelli di altre fonti, come ad esempio il gas, e non influenzati dalla volatilità dei prezzi delle materie prime».Ma la materia resta controversa. Un dossier di Legambiente uscito nei giorni del 24esimo anniversario di Chernobyl demolisce completamente la presunta economicità dell’atomo. Vengono citati i casi di Olkiluoto, in Finlandia, e di Flamanville, in Francia, dove il lievitare dei costi e l’allungarsi dei tempi sono ritenute due facce della stessa medaglia. «Tutto questo si tradurrà – sostiene l’associazione – in un inevitabile aumento del costo dell’elettricità che sarà prodotta, senza considerare le spese relative alla chiusura del ciclo, in particolar modo quelle relative allo smaltimento finale delle scorie più longeve, che com’è noto restano radioattive per decine di migliaia di anni». Resta infine il nodo-chiave: la costruzione dei reattori sarà a costo zero per il contribuente? «Questa deve essere una condizione preliminare – risponde Curcio –. Il governo potrebbe dare delle fidejussioni di garanzia, oltre ad assicurare iter burocratici snelli». Non troppo distante la posizione di Legambiente: «In nessun Paese al mondo si costruiscono centrali senza finanziamenti pubblici e garanzie statali, che ricadono poi sulle tasse e le bollette pagate dai cittadini». Laddove non sarà il mercato a garantire l’economicità del nucleare, insomma, almeno ci pensi lo Stato.
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