mercoledì 3 aprile 2013
La Corte europea ha respinto il ricorso di otto candidati che non hanno superato le prove di ammissione ai corsi di medicina e odontoiatria. Secondo i giudici è giusto accedere alle facoltà «nella misura in cui queste abbiano le capacità e le risorse e nella misura in cui la società abbia bisogno di quella professione». Una scelta che non lede il diritto allo studio.
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​Le università hanno il diritto di limitare l’accesso agli studi utilizzando il numero chiuso. La Corte Europea per i diritti umani da Strasburgo ha emesso ieri una sentenza che già non manca di suscitare polemiche. Una sentenza emessa in risposta al ricorso di otto cittadini italiani che avevano avuto problemi nell’accesso a vari atenei del Paese. In Italia il numero chiuso è applicato da alcune facoltà come Medicina e Odontoiatria di università sia pubbliche che private. I ricorrenti si sono appellati al diritto all’istruzione sancito dalla Convenzione europea per i Diritti umani, sostenendo che gli obiettivi perseguiti dalla legislazione italiana per la limitazione dell’accesso alle università non sarebbero legittime. Una di loro aveva fallito per tre volte, tra il 2007 e il 2009, l’esame per accedere alla facoltà di Medicina di Palermo. Altri sei sono stati bocciati, nel 2009, a quello per entrare ad odontoiatria nonostante l’esperienza professionale acquisita come tecnici odontoiatrici o igienisti. L’ottavo ricorrente, pur avendo superato l’esame di ammissione, è stato poi escluso dalla facoltà di Medicina, in quanto per otto anni non aveva dato alcun esame.Secondo la Corte di Strasburgo, «esiste il diritto di accesso a una Università solo nella misura in cui questa abbia la capacità e le risorse e nella misura in cui la società abbia il particolare bisogno di quella professione, dal momento che la disoccupazione rappresenta un’ulteriore spesa per la società nel suo insieme». Tradotto: non si può obbligare le università a laureare senza limiti professionisti di cui il mercato ha poco o non ha più bisogno, visto che finirebbero per allungare le liste dei disoccupati. Quanto agli studenti respinti all’esame di ammissione, per i giudici «non è stato mai loro negato il diritto di iscriversi ad altri corsi oppure di perseguire all’estero i propri studi oppure di continuare a ripetere il test fino a quando non fosse necessario».Per le Università è una buona notizia: se il verdetto fosse stato di segno opposto si sarebbero viste costrette a porre fine ai test di accesso. Durissimo invece il Codacons. La Corte di Strasburgo, si legge in un comunicato, «ha preso, per una volta, una cantonata». Secondo l’associazione dei consumatori, comunque, «il fatto che secondo i giudici il numero chiuso non sia incompatibile con quanto sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani, non significa che i test d’ingresso rispettino la normativa italiana, a cominciare dalla Costituzione». Insomma, «questa sentenza, per quanto sia un’occasione perduta, lascia impregiudicate tutte le possibili azioni legali italiane». Il Codacons ha provveduto a «diffidare il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca chiedendo l’eliminazione dei test di ammissione e che, in attesa delle sentenza della Corte Costituzionale, ha già pronta una mega class action per risarcire gli studenti esclusi dalle facoltà».Dalla sua l’associazione ha una dichiarazione del 2009 dell’allora presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà (da fine 2011 sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) a proposito del numero chiuso dei dentisti. Secondo Catricalà, «l’artificiosa predeterminazione del numero dei potenziali professionisti (…) determina, dal punto di vista economico, un ingiustificato irrigidimento dell’offerta di prestazioni odontoiatriche, con l’effetto di restringere artificiosamente il numero dei potenziali professionisti ed innalzare il prezzo delle relative prestazioni». Affermazioni che indubbiamente possono dare adito a sospetti sulle vere motivazioni del numero chiuso. Una questione che ora dovrà risolvere l’Italia.
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