giovedì 5 febbraio 2015
​Il premier: legge elettorale ferma un mese, poi il Cav non avrà alibi. Piano B se Fi strappa: referendum sul bicameralismo e voto nel 2016.
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Perdere Berlusconi è 'quasi accettabile'. Perdere Alfano no, non si può, perché le riforme non si fanno con gruppi parlamentari raccogliticci. È dal venerdì notte che precede l’elezione di Sergio Mattarella che Matteo Renzi ha iniziato un pressing costante sul ministro dell’Interno e su Ncd. Ieri l’ultimo affondo nell’ennesima telefonata: «Angelino, io dal voto anticipato non ho proprio nulla da perdere. E stai sicuro che non ci andremmo con il Consultellum, una maggioranza disposta a tornare al Mattarellum o a modificare l’Ita-licum la trovo anche domattina», è l’inizio minaccioso della conversazione. Cui segue però la rassicurazione: «Sulle riforme non cambierò perché lo chiede la sinistra Pd. Non rinnego il cammino che abbiamo fatto finora, anche se Silvio si tira indietro l’impostazione è quella». Vale per il bicameralismo, vale per il lavoro, ma soprattutto vale per l’Italicum, per la legge elettorale. Sono le parole di cui Alfano ha bisogno per presentarsi davanti al partito e davanti ai tiggì della sera: «Il Patto del Nazareno? – dice alle 19.10 gettando un po’ di chiarezza su una giornata alquanto confusa – Che non duri non è una buona notizia per noi. Ma noi ci siamo per sostenere le riforme e far cambiare il Paese, con i nostri voti e i nostri numeri c’è la maggioranza. Speriamo nel riaggancio da parte di Fi, in tutti i casi noi ci siamo e saremo determinanti». Pochi minuti e arriva il timbro sull’accordo del ministro Maria Elena Boschi: «Al Senato abbiamo votato una legge elettorale che funziona. Il Pd l’ha votata in direzione, i nostri deputati e senatori l’hanno votata in Parlamento. Abbiamo accolto molte modifiche, non possiamo tornare indietro perché questo significherebbe affossare tutto». Il punto nodale è questo: a Montecitorio il Pd ha da solo i numeri per la terza e definitiva lettura dell’Italicum. Ma con Ncd la sinistra democratica perderebbe ogni possibilità di porre veti. Non solo: con gli alfaniani, la riforma costituzionale potrebbe affrontare le nuove prove a Palazzo Madama senza che ci sia la necessità di chiedere il 'soccorso azzurro' a Forza Italia. D’altra parte, che le riforme non avrebbero raggiunti i due-terzi dei consensi per evitare il referendum era chiaro sin dall’inizio. Anzi, dopo le prime contestazioni a sinistra, era stato lo stesso Renzi ad annunciare che al momento della verità il Pd avrebbe fatto uscire dall’Aula alcuni suoi esponenti per consentire ai cittadini di esprimersi. Si capisce così il tweet con cui il premier ha inaugurato la giornata di ieri: «Porteremo a casa le riforme. Gli italiani con il referendum avranno l’ultima parola. E vedremo se sceglieranno noi o chi non vuole cambiare mai».  Un piano chiaro, che però prevede la presenza di Alfano. E che potrebbe avere una conseguenza politica non irrilevante: è vero che senza Berlusconi le riforme possono continuare, ma è altrettanto vero che governare sul filo dei numeri fino al 2018 è impresa ardua. Il 'patto' con Alfano potrebbe invece consistere in un anno di governo insieme, sino al referendum sulle riforme costituzionali e sino all’entrata in vigore, a metà del 2016, dell’Italicum.  È chiaro però che Renzi ha tutt’altro che abbandonato l’ipotesi di recuperare Berlusconi. «Ha più un mese di tempo per rientrare... », ragiona con i suoi collaboratori. Uno- due mesi di pausa obbligatoria per l’Italicum, dato che la Camera nelle prossime settimane sarà occupata da riforma costituzionale, milleproroghe, decreto-Ilva, Imu agricola e banche popolari. Tempo che l’ex Cav. potrà usare per riflettere e far decantare le tensioni in Forza Italia.
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