domenica 10 settembre 2017
Roma spinge il piano anti-elusione
Fronte europeo per tassare i big di internet
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Sulla tassazione dei giganti del web, l’Europa ora prova a fare sul serio. C’è anche l’Italia nella battaglia intrapresa dai quattro maggiori Paesi dell’eurozona (gli altri sono Germania, Francia e Spagna) per spingere l’intera Ue a dotarsi di un sistema di tassazione diverso dall’attuale: quello che consente alle multinazionali dell’economia digitale, tutte americane, di raccogliere lauti profitti nel Vecchio continente ma di pagare tasse irrisorie, grazie al fatto che la residenza fiscale resta fissata altrove.

I ministri delle Finanze dei quattro Paesi hanno sottoscritto una dichiarazione politica congiunta nella quale informano che presenteranno l’iniziativa per la tassazione della web economy nel corso della prossima riunione informale dell’Ecofin, in programma a Tallinn venerdì e sabato prossimi. La dichiarazione è stata inviata a Toomas Töniste, ministro delle Finanze dell’Estonia (che ha la presidenza di turno dell’Unione europea), e ha toni poco diplomatici: «Non dobbiamo più permettere che queste imprese facciano affari in Europa pagando il minimo di tasse. È in gioco l’efficienza economica, l’equità fiscale e la sovranità». Un’accusa rivolta ai giganti del web come Google, Amazon, Facebook, ma anche a portali di prenotazioni turistiche come Booking.com ed Airbnb. L’iniziativa, spiega a sua volta il Mef, «ha lo scopo di sollecitare una imposizione delle imprese che svolgono attività economica senza corrispondere un livello di tassazione adeguata, mettendo a repentaglio la sostenibilità del modello economico e sociale del continente».

Su questo tema «è importante avanzare iniziative condivise in Ue», ha affermato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il problema nasce dal fatto che in Europa il diritto di una giurisdizione a tassare esiste solo quando l’azienda ha una presenza fisica nello Stato. Mentre la new economy ha per definizione una presenza fisica ridottissima. Va quindi superato il «concetto di stabilimento permanente» dell’impresa, affermano i quattro Paesi. In base a questo nuovo approccio, «anche senza presenza fisica», un’azienda con una «presenza digitale significativa » dovrebbe prendere una «residenza virtuale » che la costringerebbe a sottostare alla normale tassazione di impresa. Il tema era sul tavolo da tempo ma l’accelerazione si è avuta con il cambio della guardia al governo di Parigi. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire ha suggerito una revisione delle tassazioni nazionali per applicare – nel caso dei big di In- ternet – un prelievo non più basato sull’utile bensì sul fatturato. Una proposta nata anche sulla scia della indignazione suscitata dalla notizia che un colosso come Airbnb lo scorso anno ha versato al fisco francese meno di 100 mila euro a fronte di un fatturato miliardario. Anche in Italia si è spesso dibattuto sulla necessità di cambiare le regole del gioco, rinviando però l’intervento concreto al raggiungimento di un’unità di intenti in Europa. Nel frattempo un emendamento all’ultima manovra, ispirato dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, ha introdotto un meccanismo per arrivare ad accordi preventivi tra compagnie digitali e il Fisco prevedendo (per i grandi gruppi multinazionali) la possibilità di avvalersi della procedura di cooperazione rafforzata.

Le società potranno estinguere i debiti tributari versando le somme dovute e pagando la metà delle sanzioni amministrative. «Meglio tardi che mai», afferma ora Boccia commentando l’iniziativa europea. Ma, aggiunge, «voglio vedere il documento dei ministri alla prova della Commissione Ue che non ha mai avuto il coraggio di superare l’intollerabile libertà delle multinazionali di decidere dove risiedere fiscalmente».

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