giovedì 30 maggio 2013
La locomotiva di Pechino rallenta la corsa e cede la leadership del mercato dell’arte agli Usa (33% di quota, rispetto al 25% del Dragone). Nuovi spiragli dalla crescita di super ricchi che aumenteranno del 20% fino al 2014 Pronti a investire sui capolavori.
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La locomotiva cinese rallenta, cedendo la leadership e segnando il passo in maniera vistosa. È quanto evidenzia l’Art market report 2013 di Tefaf, The european fine art foundation, che organizza a marzo in Olanda, a Maastricht, una delle maggiori fiere a livello mondiale nel settore dell’arte, alla quale partecipano circa 260 espositori provenienti da diversi continenti. La crescita del mercato in Cina di dipinti, sculture e antiquariato, si è ridotta nel 2012 del 24% consentendo agli Stati Uniti, con un incremento del 5%, di riconquistare il primato di mercato più importante del mondo. Una posizione al vertice persa dagli Usa l’anno prima proprio a causa dell’avanzata apparentemente inarrestabile del colosso cinese, che sorpassava in volata le altre piazze occidentali. Uno dei principali effetti della diminuzione a Oriente di quasi un quarto degli acquisti è la contrazione del 7% subita dal mercato di arte e antiquariato, che si attesta nel 2012 sui 43 miliardi di euro contro gli oltre 46 realizzati nel 2011. Le ragioni della decelerazione dei valori di crescita del mercato cinese dell’arte, che vale oggi 10,6 miliardi di euro contro i 14 del 2011, anno in cui mostrava un’impennata delle vendite del 30%, vanno ricercate nel rallentamento dell’economia globale e nell’aumento dei vincoli di liquidità richiesti per le transazioni, nel numero ridotto di opere di alto profilo disponibili sul mercato a prezzi davvero esorbitanti, in un drastico calo della presenza di fondi speculativi nel settore dell’arte. Incertezze politiche ed economiche hanno condotto a una "fuga" degli investitori verso stock di blue-chips e assets più sicuri, determinando in Cina un crollo delle vendite in asta del 30%. Cifre alla mano, gli Usa conquistano una fetta di mercato pari al 33%, mentre il Celeste impero scende al 25%; in terza posizione il Regno unito, con il 23% (+ 1%).Dal rapporto emerge un aumento del 5%, pari a circa 4,5 miliardi di euro, delle vendite all’asta di opere post-war e contemporanee, con uno share del 43% sul valore complessivo: un risultato mai raggiunto prima da autori in parte ancora viventi. A seguire il segmento dell’arte moderna (30% degli acquisti in asta, che passano da 3,8 a 3,2 miliardi di euro, -17% rispetto al 2011). Scendono del 4% le contrattazioni di privati, galleristi e mercanti, a conferma della fase negativa di tutto il mercato dei beni artistici, con un decremento del 30% in confronto al periodo boom del 2007, prima che iniziasse la bufera recessiva.Per gli analisti, la crisi cinese non è affatto strutturale ma transitoria, legata a un’economia di lungo corso resasi più riflessiva e pianificata, meno impetuosa e vorace. Gli investitori orientali apprezzano le opere di artisti americani, inglesi, francesi; e ultimamente quelle di spagnoli e italiani. Pittura e scultura diventano anche beni da esportare. Ma con la pattuglia dei nuovi ricchi e grazie al sostegno dello stato, è l’arte tradizionale a trionfare sul mercato interno. Un esempio sono le porcellane antiche: infatti il Mei Moses Traditional Chinese Works Art Index ha registrato, tra il 2007 e 2010, un’oscillazione positiva del 225% dei prezzi d’asta. La corazzata Cina, insomma, ha tutti i numeri per guardare al futuro con ottimismo: i suoi miliardari aumenteranno del 20% fino al 2014, quasi quattro volte in più che nel resto del mondo.
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