martedì 8 maggio 2018
Più della metà delle vendite di armamenti sono dirette in aree a rischio. Pesa la maxi-commessa navale verso il Qatar
(Ansa)

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Un altro anno record per le esportazioni di armi italiane. Anche nel 2017 l’Italia ha autorizzato la vendita di materiale da guerra per oltre 10 miliardi, di cui circa la metà al di fuori della Nato, verso regioni problematiche e instabili come Africa e Medio Oriente. Sono i dati della Relazione governativa al Parlamento sull’export italiano di armamenti, prevista dalla legge 185/90, con dati riferiti al 2017.

Per il secondo anno consecutivo, dunque, le autorizzazioni rilasciate superano, intermediazioni comprese, i 10 miliardi di euro. Rispetto al 2016 c’è un calo di circa il 35% (quell’anno il record fu raggiunto per la mega-commessa di aerei al Kuwait) ma la commessa navale per il Qatar garantisce una crescita del 35% rispetto al 2015, e una quadruplicazione delle licenze rispetto al 2014.

Chi compra dall’Italia? I primi 12 Paesi sono Qatar, Regno Unito (entrambi con autorizzazioni di oltre 1,5 miliardi di euro) seguiti da Germania, Spagna, Usa, Turchia, Francia (totale autorizzazioni tra 250 milioni e 1 miliardo) poi Kenya, Polonia, Pakistan, Algeria e Canada (tra 150 e 250 milioni). L’Agenzia delle Dogane attesta 2,7 miliardi di vendite ed esportazioni definitive, in linea con i 2,8 del 2016. I Paesi non Ue o Nato sono destinatari del 57% del valore delle autorizzazioni del 2017 (circa 48% in Medio Oriente e Nord Africa).

«Tra gli acquirenti compare il Qatar, indicato da molti Paesi arabi, Arabia Saudita in testa, come Paese sostenitore del terrorismo internazionale e analogamente accusato anche da Trump», sottolinea Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo. «Ma noi – aggiunge – riforniamo tranquillamente anche chi lo critica». Esportazioni anche verso la Turchia di Erdogan, in guerra in Siria contro i curdi. Proseguono le esportazioni verso Arabia Saudita, Kuwait, Emirati arabi uniti, «tutti paesi impegnati nella sanguinosa guerra in Yemen».

Una crescita di clienti 'armati' – secondo Rete italiana per il disarmo - frutto «anche dell’attivismo governativo degli ultimi anni nel promuovere l’industria bellica: si pensi al tour promozionale della Portaerei Cavour salpata a fine 2013 per Medio Oriente ed Africa». Boom di vendite «sottolineato con soddisfazione dall’Unità per le Autorizzazioni sui Materiali d’Armamento (Uama) presso il Ministero degli Esteri, che dovrebbe essere solo il «controllore di liceità ed aderenza alle norme delle esportazioni». Schizzano le autorizzazioni alle 'attività di intermediazione', cresciute del 1300%, pari a ben 531 milioni di euro. Non beni o servizi ma «negoziazione od organizzazione di transazioni» per il trasferimento di beni militari: «Numeri che destano qualche preoccupata domanda, soprattutto considerando i Paesi destinatari collegati». «Particolarmente grave e preoccupante – commenta Giorgio Beretta, analista di Opal – è il protrarsi delle forniture di armi alla monarchia saudita. Tre risoluzioni del Parlamento europeo hanno ribadito la necessità di un embargo sugli armamenti per l’Arabia Saudita, viste le gravi violazioni in Yemen. Ma sono state autorizzate nuove esportazioni per 52 milioni».

Capitolo 'banche armate' (quelle che forniscono conti e sportelli per l’incasso dei pagamenti dell’export militare): 4,8 miliardi di euro (3,7 nel 2016). Oltre la metà attraverso UniCredit (2,8 mld), poi Deutsche Bank (700 milioni), Bnp Paribas (252), Barclays (210), Popolare di Sondrio (174) e Intesa SanPaolo (137).

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