martedì 8 luglio 2014
Domani va in aula la riforma del Senato, oggi l'emendamento sulla composizione.
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La commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama approva la riforma del Titolo V della Costituzione (quella che regola le materie di competenze tra Stato centrale e Regioni) e Renzi sente ormai odore di vittoria: «Per la politica italiana – spiega il premier – la riforma del Senato è una vera e propria rivoluzione». E promette: «Vogliamo troppo bene al Paese per lasciarlo ai frenatori, a chi dice solo no e disfa i progetti altrui». L’indisposizione di Roberto Calderoli, relatore insieme ad Anna Finocchiaro del provvedimento di riforma costituzionale del bicameralismo, ha impedito ieri il deposito dell’emendamento più delicato, quello che regola la composizione del nuovo Senato che sarà scelto dai Consigli regionali. Era questo l’unico nodo ancora da sciogliere, perché Forza Italia aveva chiesto che la rappresentanza dei senatori fosse il più possibile proporzionale: che rispecchiasse insomma i voti e non i seggi ottenuti dalle forze politiche alle elezioni regionali. Nonostante l’emendamento non abbia preso ancora corpo (sembra che verrà depositato quest’oggi), ieri sera il capogruppo di Fi in Senato Paolo Romani sembrava piuttosto soddisfatto: «Mi sembra – ha detto – che si sia rispettato il criterio di una maggiore proporzionalità». Superato lo scoglio più grande, il testo può finalmente andare in aula per l’approvazione: l’esame comincerà martedì prossimo. Il governo sembra piuttosto tranquillo anche sull’esito delle votazioni. La pattuglia trasversale di senatori che chiedono il Senato elettivo non sarà sufficiente, secondo i calcoli di Palazzo Chigi, a impedire che la riforma venga approvata.La notizia del giorno è, però, che è stata votata la modifica al Titolo V della Costituzione, che , dopo la riforma del 2001, aveva moltiplicato i conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale. Ora le competenze vengono ripartite in modo più netto, in modo da evitare le sovrapposizioni del recente passato. Rispetto al progetto originario del governo, il Senato ha avuto la manica più larga nei confronti delle competenze delle Ragioni. Lo Stato avrà dunque legislazione esclusiva sulla politica estera e sui rapporti internazionali dello Stato, sui rapporti con l’Unione Europea ma anche sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sulla perequazione delle risorse finanziarie, sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, sulle norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza del lavoro, sulle norme generali che riguardano l’istruzione, l’ordinamento scolastico, l’università e la ricerca, ma anche sull’ambiente, sui beni culturali, sul turismo, sulla produzione e distribuzione nazionale di energia, sulle infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto. Spetterà invece alle Regioni la potestà legislativa in materia di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, dotazione infrastrutturale, la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari e sociali, la promozione dello sviluppo economico locale, l’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici istruzione e formazione professionale, anche in materia di promozione del diritto allo studio, di disciplina per quanto di interesse regionale, delle attività culturali della valorizzazione dei beni ambientali culturali e paesaggistici, della valorizzazione e della organizzazione regionale del turismo. La riforma sancisce la cancellazione definitiva delle Province e introduce i costi standard in Costituzione. «Una norma – dice Gaetano Quagliariello, coordinatore di Ncd, che si è battuto strenuamente per questo inserimento – che può rappresentare la più incisiva riforma della spesa pubblica del nostro Paese».
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