venerdì 9 marzo 2018
Si tocca la quota del 35% ma le candidate donne erano il 45%: parità ancora lontana. La composizione delle liste potrebbe aver fatto da freno
Le ministre Roberta Pinotti e Beatrice Lorenzin e la sottosegretaria Maria Elena Boschi (Ansa)

Le ministre Roberta Pinotti e Beatrice Lorenzin e la sottosegretaria Maria Elena Boschi (Ansa)

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Parlamento color 'rosatellum'? Qualche passo in avanti c’è. La norma sulle «quote di genere» contenuta nella legge elettorale (secondo cui, sia nei collegi uninominali che in quelli plurinominali, nessuno dei due generi, maschile o femminile, può essere rappresentato in misura superiore al 60%) ha prodotto un aumento in percentuale delle donne elette: alla fine le 'onorevoli' deputate e senatrici nella XVIII legislatura potrebbero superare il 35% dei parlamentari, a fronte del 30,1 della XVII, appena conclusa.

Numeri alla mano, infatti, per le elezioni del 4 marzo erano in lista 4.327 donne su 9.529 candidati, ossia circa il 45% (e dunque sulla carta in linea coi parametri fissati dalla legge). E i primi dati (mentre scriviamo, l’attribuzione dei seggi non è ancora definitiva, né alla Camera né al Senato) rivelano come la percentuale delle elette possa essersi avvicinata un altro po’ a quel 40% ipotizzato dal Rosatellum, laddove determina le quote per le candidature. Ciò in un Paese in cui, lo ricordiamo, su 60 milioni di abitanti le donne sono in maggioranza (circa 31 milioni). I dati (contenuti in uno studio dell’Ufficio valutazione impatto di Palazzo Madama e non ancora stabilizzati) mostrano come al Senato nei collegi uninominali il 61% di seggi andrebbe agli uomini, il 39% alle donne; nei collegi plurinominali il 64% agli uomini e il 36% alle donne. Tendenza analoga alla Camera dei deputati, dove il 65% dei seggi andrebbe agli uomini e il 35% alle donne. Al Senato, il centrodestra potrebbe contare 30 donne su 137 eletti, il centrosinistra 13 su 59, Leu solo una su 4. Fa eccezione il Movimento 5 Stelle, con 42 su 112, come rivendica con orgoglio il leader Luigi Di Maio. Alla Camera il gruppo grillino avrebbe 82 donne su 222 eletti (circa il 37%) e il centrodestra 67 su 260 seggi assegnati finora (il 26%). Il Pd, in attesa dei ripescaggi, 32 donne su 115 eletti (28%), mentre Leu solo 4 su 14 seggi. Il fatto che le quote non siano più alte potrebbe essere dovuto, secondo alcune valutazioni, alla composizione delle liste messa in pratica dalle forze politiche.

Una chiave di lettura, intrisa di vis polemica anti-renziana ma comunque indicativa, l’ha fornita nei giorni scorsi Ugo Sposetti (già tesoriere dei Ds, poi eletto senatore nel Pd, ma non ricandidato in questa legislatura). In un’intervista al Corriere della Sera, parlando delle liste dem, l’ex senatore ha sostenuto che «si erano accorti che non avevano un numero sufficiente di donne nelle liste e le hanno inzeppate di pluricandidature della Boschi, della De Giorgi». Tutto, ha aggiunto, «per eleggere altri maschi fedeli e senza che le donne alzassero un dito per protestare contro questo scempio». Del fatto si lamenta pure Luana Zanella, coordinatrice nazionale dei Verdi: «I meccanismi non hanno funzionato a dovere. C’è stato perfino l’uso della pluri-candidatura di donne capolista, per garantire un numero maggiore di maschi eletti».

Rosatellum a parte, il trend di aumento vale anche per il Parlamento Europeo: nelle elezioni del 2014, sono state 29 le donne su 73 europarlamentari eletti in Italia, pari al 39,7%, più di 2 punti sopra la media del Parlamento di Strasburgo. Un buon segnale per il futuro.

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