domenica 14 gennaio 2018
Inaugurata sabato la struttura per familiari di bimbi malati, ultimo sogno del bambino
L'inaugurazione della Casa di Leo. Da sinistra: Michele Morghen, Susanna Berlendis, monsignor Francesco Beschi, Pasquale Gandolfi e don Andrea Pedretti

L'inaugurazione della Casa di Leo. Da sinistra: Michele Morghen, Susanna Berlendis, monsignor Francesco Beschi, Pasquale Gandolfi e don Andrea Pedretti

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«Per tutte le mamme il sogno più grande è vedere i progetti dei nostri figli che si realizzano. Oggi sono felice e orgogliosa perché questa casa realizza il desiderio di Leo, che nella sua breve vita ha sempre aiutato gli altri». La Casa di Leo, a Treviolo, è stata inaugurata sabato di fronte a centinaia di persone: dove questa estate c’era un campo incolto, ora c’è un grande edificio superaccessoriato e autosostenibile che accoglierà le famiglie dei bambini ricoverati con malattie gravi all’ospedale San Giovanni XXIII di Bergamo. Era l’ultimo sogno del piccolo Leonardo Morghen, nato nel 2005 con una malattia rarissima (unico caso al mondo) e salito al cielo a 10 anni, dopo aver sofferto negli ospedali d’Europa e d’America nella speranza di una cura senza perdere il sorriso.

«Quando eravamo negli Stati Uniti – ha ricordato la mamma Susanna – siamo stati ospitati per anni gratuitamente nelle case di accoglienza che lì circondano gli ospedali, oggi la Casa di Leo sarà il luogo di calore in cui le famiglie torneranno la sera dopo aver assistito i loro bambini».

Tutti hanno presente il video che Leo registrò prima di morire, per lasciare il suo messaggio: «Alle persone che sono come me, o che hanno altri problemi, dico non smettete di combattere, resistete». Parole d’ordine. «Questa casa si sarebbe fatta lo stesso anche se Leo fosse rimasto tra noi – assicura la mamma – perché aiutare gli altri era la sua ricchezza. La sua nascita in Cielo ha solo accelerato i lavori». Con papà Michele taglia poi il nastro e la folla sfila nelle grandi stanze colorate, nella sala giochi.

«Tutto nasce da un bambino, che questa sera è qui con il suo resistete, con il suo combattete – non trattiene il pianto don Andrea Pedretti, il giovane sacerdote fin dall’inizio accanto a Leo –. Il difficile comincia ora, chi può dia un’ora di volontariato, un euro, la Casa va avanti grazie a chi ci crede». «Dentro una storia così immensa e uno spessore umano di questa portata riconosco la presenza di Dio – ha detto il vescovo di Bergamo Francesco Beschi –. Facciamo sì che il gesto di Leo sia capace di cambiarci, anche senza dover provare la sofferenza generatrice che ha creato questo sogno». «È la realizzazione del vero bene comune – ha detto Carlo Vimercati di Fondazione Cariplo, uno degli sponsor –, ci ha colpito la velocità di realizzazione. Noi finanziamo progetti per 140 milioni l’anno, ma questo è un modello da imitare».

Concretezza evidenziata anche dal sindaco di Treviolo Pasquale Gandolfi: «Solo un anno fa mi dissero che un prete mi doveva parlare. Dopo mezz’ora ero con don Andrea a individuare il terreno». Fabio Pezzoli è il direttore sanitario dell’ospedale San Giovanni XXIII: «Nel 2016 abbiamo ricoverato 213 bambini da fuori regione, 140 dall’estero, 43 dovevano trapiantare organi. Questi genitori perdono il lavoro, spesso i nonni li seguono per stare vicini. La sera trovare una casa cambia la vita». All’ingresso i 'mattoni' portano il nome di tanti donatori. Ci sono anche i lettori di Avvenire, fa sapere don Andrea, «più di 40mila euro sono arrivati da loro».

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