venerdì 18 dicembre 2020
La battaglia di due genitori umbri, dopo il taglio dell’assistenza al figlio che ha una malattia rara. Il progetto: un'associazione per retribuire studenti di infermieristica che seguano a domicilio
Mamma, papà e Andrea

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Ogni sera alle 23, per papà Sieva Mastrogiovanni la routine è sempre la stessa, almeno 17 volte al mese: preparare la ventilazione meccanica e l’alimentazione col sondino al figlio Andrea. Rimette la sveglia ogni due ore per l’aspirazione della tracheostomia e la sostituzione della sacca alimentare. Alle 7 si alza e va a lavorare fuori Terni, nella multinazionale dove è capo dell’ufficio tecnico.

Andrea, 8 anni, è affetto da una malattia così rara (20 casi appena al mondo) che non ha nemmeno un nome: una mutazione del gene Sptan1 alla nascita gli ha lasciato una malformazione cerebrale che ha determinato tetraparesi ed epilessia, oltre a diversi altri problemi. Non parla, non vede, non regge la testa e ha bisogno di ossigeno e ventilatore: «Per curare una polmonite e una pancreatite ha dovuto fare una tracheostomia e questo ha portato a un peggioramento rispetto al deficit neurologico di partenza », precisa il padre.

Dallo scorso 25 settembre Sieva e sua moglie Roberta stanno sopperendo con le loro forze, non solo economiche, all’assistenza notturna che si sono visti ridurre dalla Asl di Terni, lasciando scoperte quattro sere alla settimana: «La considerano come un servizio sociale anziché sanitario, quindi non necessario. Ora stiamo pagando le infermiere Asl a partita Iva privatamente per coprire le due notti che ci hanno tolto, mentre il pomeriggio siamo costretti a rimanere con loro perché da sole non riescono a spostare nostro figlio nemmeno con il sollevatore».

Roberta, laureata in conservazione dei beni culturali, fino a due anni fa per assistere Andrea rimaneva a casa; oggi lavora come Oss con anziani e disabili per pagarsi l’assistenza privata del figlio. Oltre alle notti di assistenza ridotte, la coppia si è vista dimezzare le ore di Oss disponibili solo di mattina e riducendo la fisioterapia da due a una volta a settimana: «Chi ci ha seguito in precedenza si è sempre confrontato con noi e conosceva i problemi, per questo siamo sempre riusciti a ottenere il massimo dell’assistenza per Andrea – spiega papà Sieva –, ma l’ultima volta il rapporto è stato stilato da persone che non avevano mai visto prima nostro figlio. Ci siamo visti recapitare questo piano assistenziale già scritto e dovevamo solo accettarlo. Oltretutto, la Asl dice che siamo d’accordo con questi cambiamenti, ma non è vero perché io ho fatto mettere a verbale che ero contrario a questo dimezzamento. Ora non dormiamo quasi più».

La Asl 1 ha risposto con una nota in cui si dice che il team multidisciplinare ha valutato Andrea «in condizioni cliniche stabili, che negli ultimi due anni non hanno richiesto ricoveri urgenti». La media di 7 ore quotidiane di ventilazione, secondo i medici «non rende il soggetto ventilatore-dipendente»... Mastrogiovanni protesta: «Andrea ha bisogno del ventilatore 7 ore a notte. Nel 2017, quando siamo usciti dal Gemelli, avevamo una prescrizione di 16 ore consecutive: dire che non è dipendente dalla macchina è sottovalutare il problema». Secondo la Asl inoltre «l’assistenza domiciliare di III livello ad oggi non prevede le ore notturne: stiamo agendo in deroga alle linee guida del Ministero. La presa in carico di Andrea deve essere considerata un modello innovativo e unico dal punto di vista assistenziale, di livello elevatissimo e superiore».

Nei giorni scorsi un nuovo confronto col commissario De Fino ha portato a lievi aperture sul fronte delle Oss pomeridiane e della fisioterapia, mentre per l’assistenza notturna la Asl ha rimandato tutto a un nuovo confronto col Gemelli, che però avverrà non prima dell’anno prossimo, in fase post-Covid: «Nel frattempo dovremo continuare a coprire personalmente le 4 notti settimanali prive di infermiere, che la Asl si è impegnata a formare ma che dovremo comunque pagare noi», dice Mastrogiovanni.

Ma c’è un altro rischio alle porte, quello della riduzione dell’assegno erogato dalla Regione (attualmente 1.200 euro) che a fine emergenza sarà probabilmente rimodulato sull’Isee: «Un problema che si aggiungerà agli altri: per la sanità regionale nostro figlio è un costo, lui invece vuole soltanto vivere – spiega ancora il padre –. Noi non chiediamo donazioni ma un’assistenza stabile che ci permetta di dormire, per poter lavorare e stare vicino al meglio ad Andrea».

I soldi comunque stanno arrivando e grazie ad essi nel nome di Andrea nascerà un’associazione: «Vorremmo creare un canale preferenziale università-famiglia che dia la possibilità a studenti del 2° e 3° anno, futuri infermieri, di crescere a livello umano e sanitario ancor prima della laurea, assistendo a domicilio Andrea e altri bimbi come lui in maniera retribuita e con affiancamento iniziale».

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