domenica 26 ottobre 2014
​Ecco chi ha accolto l'appello del Papa. «È necessario dare un futuro a tutti»
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Fine pena mai. Per don Gino Rigoldi la frase che, in ambito giuridico, indica l’ergastolo è «una frase tragica ». «Talvolta vado a trovare un gruppo di detenuti del carcere di Voghera – racconta il sacerdote, per molti anni cappellano del carcere minorile Beccaria  di Milano –. Ci sono tanti ergastolani. È come se fossero già morti, per loro non c’è più futuro». È a queste persone, a questi volti, che don Gino Rigoldi pensa mentre riflette sulle parole che nei giorni scorsi Papa Francesco ha rivolto a un gruppo di giuristi dell’Associazione penale internazionale. L’invito a tutti i cristiani e uomini di buona volontà a impegnarsi per il miglioramento delle condizioni carcerarie; a lottare per l’abolizione della pena di morte «in tutte le sue forme», tra cui anche l’ergastolo definito una «pena di morte nascosta». Parole che hanno dato nuova forza ai tanti operatori e volontari che, quotidianamente, si impegnano per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. «Il Papa ci ricorda che solo con il bene si può cambiare il male – aggiunge don Gino Rigoldi –. Dobbiamo sempre immaginarci che per ogni essere umano ci sia la possibilità di un cambiamento». «Siamo grati a Papa Bergoglio – commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone  –. Speriamo che le sue parole siano uno stimolo per riaprire una discussione su temi come l’ergastolo, le misure alternative, la tortura che sono ignorati dal dibattito politico». Antigone chiede alla politica di prendere esempio dalle parole di Francesco, introducendo nell’ordinamento il delitto di tortura e abolendo subito la condanna a vita. «Negli ultimi quarant’anni non abbiamo mai sentito parole così forti da parte di esponenti della classe politica italiana – conclude Gonnella –. L’ultimo grande statista a pronunciare parole inequivoche contro il fine pena mai è stato Aldo Moro».  Anche Francesco Marsico, di Caritas Italiana, invita a prendere spunto dalle parole del Pontefice per riaprire il dibattito sul tema del carcere. «L’ergastolo non è accettabile perché è una pena di morte camuffata e che tradisce la nostra Costituzione: una pena che non ha una fine, non può essere rieducativa», spiega Marsico. La sfida è aprire uno spazio di riflessione «etica, morale e costituzionale» su tutti i grandi temi e le difficoltà che il mondo del carcere sta vivendo oggi. Un dibattito in cui le associazioni di volontariato sono pronte a contribuire sia su un piano teorico, sia portando buone prassi ed esperienze. «Bisogna porre la questione di come rendere la pena rieducativa – sottolinea Marsico –. Come Caritas possiamo portare l’esempio dei progetti di giustizia riparativa portata avanti a Bergamo».   «Lo sguardo del Santo Padre è uno sguardo universale», sottolinea Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, che invita ad allargare ancora di più la prospettiva. Perché se è vero che le condizioni dei detenuti in Italia sono difficili, nelle carceri in Asia, in Africa o negli Stati Uniti la situazione non è meno drammatica, anzi. «In molti Paesi il carcere non è strumento di recupero, ma è diventato strumento di umiliazione, di violenza e di morte». La Comunità di Sant’Egidio ha accolto con riconoscenza «e si impegna a diffondere ovunque» il forte appello di Papa Francesco contro la pena di morte e per il miglioramento della condizione carceraria, nel rispetto della dignità umana anche delle persone private della libertà. «Chiediamo che le istituzioni accolgano il messaggio del Papa e lo rendano concreto», è l’appello di Guido Chiaretti, presidente della Sesta Opera San Fedele, associazione di volontariato attiva nelle carceri milanesi. «Siamo contentissimi per le parole di Bergoglio – aggiunge – perché ha fatto sue parole che noi pronunciamo da sempre». Ora però tocca alla politica darsi da fare, troppe decisioni devono essere prese ed è urgente che da Roma arrivino risposte precise su tanti temi, dall’attività trattamentale fino alle misure alternative. I volontari, intanto, si rimboccano le maniche: «Ora i detenuti hanno la possibilità di stare fuori dalle celle per otto ore al giorno, ma non hanno nulla da fare – spiega Chiaretti –. Al carcere di Opera abbiamo raddoppiato i volontari e avviato nuove attività. Ma il volontariato non può fare tutto. Il governo deve fare la sua parte».
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