martedì 5 aprile 2016
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IDOMENI «Se non aprite la frontiera, siamo pronti a protestare ogni giorno». Ahmed tiene in braccio suo figlia Leila. È appena tornato dalla manifestazione che ieri pomeriggio ha bloccato per un paio d’ore l’autostrada E75, all’altezza del confine greco-macedone di Evzonoi. L’accampamento di Idomeni dista solo un paio di chilometri. «Se vogliono rispedirci indietro - ancora Ahmed - dovranno farlo con la forza». È giunta fin qui l’eco delle prime riammissioni dall’isola di Lesbo verso la Turchia, operate dalle autorità greche nell’ambito dell’accordo tra Ue e Ankara, per limitare gli arrivi in Europa. Una nuova minaccia per gli 11 mila migranti che da settimane sfidano il freddo, le intemperie e la burocrazia europea, Per tutta la giornata di ieri nell’accampamento si sono rincorse le voci. «Dapprima sembrava dovessero riaprire la frontiera. Poi la notizia dei rinvii. Ho un fratello che è appena arrivato a Lesbo. Mi ha telefonato in lacrime, dicendo che Frontex sta riportando indietro tutti». Trent’anni, professore di lingua araba, Ahmed è fuggito da Aleppo all’inizio dell’anno. «Ho attraversato la Turchia con mia moglie e i miei tre figli – spiega – abbiamo rischiato la vita per varcare l’Egeo. Ora siamo qui, sulla soglia dei Balcani. E non abbiamo alcuna intenzione di tornare indietro». «L’attesa nel campo sta proseguendo – spiega Nikos Apostolakis, volontario greco di Medici senza Frontiere – più passa il tempo però, più aumentano i rischi. Le condizioni igieniche sono estremamente precarie. I bambini giocano tra rifiuti e liquami. Il pericolo maggiore è che si sviluppino epidemie, specie con l’aumento delle temperature ». Si calcola che siano almeno 5 mila i minorenni presenti attualmente nel campo. Curdi e siriani, per la maggior parte, ma anche iracheni, afghani, pakistani e algerini. La vita continua, ma la tensione cresce ogni giorno - spiega Othman, che a Mosul faceva il tassista, prima di essere costretto a fuggire dalla minaccia del Daesh – ieri un banale scambio di insulti tra un pakistano e un siriano si è tramutato in una rissa». E a scaldarsi, oramai, sono anche gli animi di chi attorno al campo di Idomeni lavora. Come gli agricoltori locali, che domenica hanno inscenato una manifestazione di protesta contro l’accampamento. «C’e chi inizia a pensare di transitare dall’Albania – rivela Mohamed Ali, curdo di Kobane, che a Idomeni è giunto due mesi fa –- ma il rischio è di restare ancora bloccati. L’Europa deve dirci di che morte dobbiamo morire. Non siamo scappati dalla guerra per ritrovarci bloccati in una stazione in quella che dovrebbe essere la patria dei diritti umani». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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