giovedì 24 marzo 2016
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Nessuna assistenza delle ong, sull’isola greca di Lesbo, per i trasferimenti dei migranti ai centri di accoglienza e nessun supporto negli hotspot sulle isole. Il nuovo duro colpo, dopo la presa di posizione di Acnur e Save the Children arriva anche Medecins sans Frontieres (Msf). L’associazione di medici impegnati a portare il soccorso sanitario e l’assistenza medica, da ieri ha deciso di sospendere le proprie attività nel campo di Moria. La decisione, anche di quest’aultima ong, arriva dopo l’accordo Ue-Turchia che porterà al 'ritorno forzato' di migranti e richiedenti asilo dalle isole greche. «Abbiamo preso la difficile decisione di chiudere le nostre attività a Moria perché continuare a lavorare nel centro ci renderebbe complici di un sistema che consideriamo sia iniquo che disumano», ha detto Michele Telaro, capo progetto di Msf a Lesbo. «Non permetteremo – ha aggiunto Telaro – che la nostra azione di assistenza sia strumentalizzata a vantaggio di un’operazione di espulsione di massa e ci rifiutiamo di essere parte di un sistema che non ha alcun riguardo per i bisogni umanitari e di protezione di richiedenti asilo e migranti ». Sulla piccola isola greca dove ogni giorno continuano a sbarcare centinaia di migranti partiti dalle coste turche, non sarà così più attiva la clinica Msf nell’hotspot di Moria, sospese anche le attività legate alla fornitura di acqua e servizi igienici. Continuerà invece a gestire il centro di transito a Mantamados, che offre prima assistenza ai nuovi arrivati, oltre alle attività di soccorso in mare lungo le coste e le cliniche mobili al di fuori dell’area hotspot. A Lesbo e a Chios, da quanto è entrato in vigore l’accordo di Bruxelles, domenica scorsa, non mancano anche le proteste dei migranti che non vogliono essere trasferiti nei centri di accoglienza nel nord della Grecia. Temono di essere rinchiusi in condizioni di detenzione. Con tempi che rischiano di allungarsi a dismisura: dei 1.500 funzionari richiesti da Frontex per attivare le procedure dell’accordo ue-Turchia, i Paesi europei finora hanno infatti fornito solo 396 agenti di polizia. Intanto si fa sempre più difficile la situazione a Idomeni, il campo 'irregolare' dove ormai vivono più di 15mila persone. Dopo i due migranti che si sono dati fuoco, martedì, per protesta, ieri in migliaia hanno bloccato la linea ferroviaria che collega la Grecia con la Macedonia. E altri 500 nel centro di accoglienza di Nea Kavala a circa 20 chilometri dalla frontiera tra Grecia e Macedonia hanno bloccato l’autostrada che collega Salonicco con la Macedonia per chiedere la riapertura delle frontiere. «Se non possiamo uscire da qui allora vogliamo morire qui» hanno detto i migranti, disperati e sfiniti. A Idomeni le condizioni ormai sono drammatiche: il cibo scarseggia, ci sono tende e bambini ovunque e i servizi igienici non sono sufficienti. Il rischio, con le associazioni umanitarie che stanno richiamando i propri volontari, è che nel campo possano esplodere atti di violenza e rabbia. Intanto ieri la polizia di frontiera bulgara ha trovato, a circa un chilometro dal confine con la Turchia, i cadaveri di due uomini, forse migranti che hanno tentato di attraversare la frontiera. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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