sabato 4 luglio 2020
Sgominata la banda di insospettabili “orchi” che, utilizzando una nota piattaforma di messaggistica, si scambiavano fotografie e video pedopornografici. Tra le vittime c’erano addirittura dei neonati
Anche imprenditori e studenti nella rete online

Ansa

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Ordinato e metodico orrore. Tanto efficiente quanto profondamente inumano. È ciò che ieri mattina è stato svelato dopo una complessa indagine internazionale, che ha sgominato una rete di pedofili italiani che su una piattaforma di messaggistica scambiavano materiale pedopornografico.

È stata chiamata "Operazione 50 Community", perché le ricerche condotte da oltre 200 investigatori del Centro nazionale di contrasto alla pedopornografia online e del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Torino, hanno portato all’esecuzione di 50 decreti di perquisizione, tre arresti e il sequestro di migliaia di files ordinati, appunto, con lucida e terribile meticolosità. Per capire, basta leggere la nota diffusa dalla questura di Torino che spiega come il materiale illegale sia «molto diversificato». La scatola dell’orrore contiene così foto con contenuti raccapriccianti, ritraenti vere e proprie violenze sessuali dove le vittime erano spesso neonati. «In alcuni casi – spiegano in questura a Torino –, si è riscontrata la presenza di materiale autoprodotto in ambito familiare. In alcune immagini venivano coinvolti animali e adottate pratiche di sadismo, cosa che ha permesso, avvalendosi di un protocollo di categorizzazione del materiale illegale condiviso a livello internazionale, di creare una vera e propria profilazione dei criminali in base ai gusti espressi ed alle modalità di interazione in rete». Emersi altri particolari raccapriccianti, come l’acronimo “Y.6” che indicava una raccolta di foto di piccoli di sei anni; mentre “Ptha” si riferiva ad una sezione dedicata a preadolescenti.

Dietro a quanto reso noto ieri, c’è stata una intensa operazione di indagine anche dal punto di vista informatico, con mesi di appostamenti sotto copertura nel web fino ad arrivare al risultato finale. La Polizia Postale, infatti, ha isolato la posizione dei singoli nickname recuperando per ognuno di loro il materiale condiviso ed estrapolando le connessioni Ip utili per continuare le indagini. «A quel punto – spiegano sempre dalla questura – una lunga e capillare attività di indagine e un vero e proprio pedinamento virtuale ha consentito di dare un nome ai nickname utilizzati portandoli allo scoperto e fuori dall´anonimato della rete». Il tutto reso possibile da una grande collaborazione internazionale: molti materiali, infatti, arrivavano dall’estero e a lavorare con i poliziotti italiani è stato in particolare il National Child Exploitation Coordination Center (Ncecc) canadese. Ma è in Italia – a Torino, in Lombardia e in Emilia Romagna – che sono state eseguite decine di perquisizioni. In un caso c’è anche il sospetto che il materiale condiviso in rete sia stato autoprodotto.

Chi fruiva di tutto questo? «Abbiamo analizzato per oltre un anno contatti, scambi di materiale, geolocalizzato indirizzi virtuali, effettuato veri pedinamenti sul web», dice adesso Fabiola Silvestri, dirigente del compartimento polizia postale del Piemonte, che aggiunge: «Siamo riusciti a identificare i componenti della rete che si estendeva fino al Canada». Perché tutto è iniziato da una segnalazione da Oltreoceano. «Abbiamo ricevuto – continua la dirigente – diverse segnalazioni di utenti geolocalizzati in Italia. Le indagini sono partite circa un anno fa. Per individuare le persone coinvolte, gli agenti oltre alle loro conoscenze tecnologiche si sono impadroniti delle terminologie utilizzate su internet da chi frequenta questi ambienti». Una sorta di gioco di guardie e ladri, in cui, però, i ladri rubano ben di più di qualche gioiello. E un gioco condotto anche con sofisticate tecnologie: secondo gli esperti della polizia postale, per esempio, «queste persone utilizzano sistemi di anonimizzazione, come il wifi aperto o il dark web».

Proprio con quest’ultimo termine si definiscono i contenuti di internet che si raggiungono solo con specifici programmi, configurazioni e accessi autorizzativi: il lato oscuro della rete, che sfugge ai motori di ricerca normali e che, è stato stimato, risulta essere per il 90% circa totalmente illegale. Dietro tutto questo i volti sono quelli anche di giovani ventenni, così come di adulti fino ai 50-55 anni di età, piccoli imprenditori, impiegati, disoccupati e studenti. Uno di essi è un torinese, già in cella per un’altra indagine per abusi su figlie minorenni proprio per realizzare video e fotografie.

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