giovedì 19 marzo 2015
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Sembra accertato che i delfini nuotino dormendo con metà cervello e un solo occhio aperto, certamente un vantaggio rispetto alla necessità di fermarsi e di esporsi al rischio dei predatori. Molti vertebrati, essere umano compreso, hanno però necessità di abbandonarsi completamente per un certo periodo a un riposo senza consapevolezza. Quale sia la funzione del sonno non è ancora del tutto chiarito, ma è noto che il sonno si caratterizza per specifica attività elettrica cerebrale, ridotto metabolismo e ipotonia muscolare. Ed è altrettanto noto che la privazione di sonno ha importanti conseguenze, tra cui cali di attenzione, confusione ed instabilità emotiva.  Donne e uomini hanno quindi bisogno di 'riposarsi' e forse lo fanno anche quando non ne sono del tutto coscienti, con tutti i rischi del caso. Un’importante scoperta italiana, pubblicata ieri sul Journal of Neuroscience, indica infatti che la veglia prolungata in individui impegnati in compiti cognitivi è associata alla comparsa di temporanei episodi di 'sonno locale', che hanno effetti sull’attenzione e sulla capacità di controllare il proprio comportamento.  Se anche non siamo come i delfini, quello che emerge dallo studio condotto da due sezioni dell’Università di Pisa, dirette da Pietro Pietrini, e dal Centro per lo  studio del Sonno e della Coscienza dell’Università americana del Wisconsin, guidato da Giulio Tononi, è che stare ore a un simulatore di guida, come hanno fatto i partecipanti all’esperimento, può portare ad un progressivo 'affaticamento funzionale' di particolari regioni cerebrali e, cosa finora sconosciuta, all’addormentamento di alcune zone del cervello. In altre parole, individui in apparente stato di piena vigilanza potrebbero subire imprevedibili perdite di capacità, con prestazioni ridotte, impulsività e disinibizione, come conseguenza di sforzi prolungati.  «Un affaticamento funzionale frontale in chi si trova in condizioni di stress continuo potrebbe contribuire a spiegare la perdita subitanea di controllo sugli impulsi spesso riscontrata nei reati d’impeto – spiega Pietrini –. Questi risultati offrono perciò una nuova prospettiva sulla genesi e la dinamica dei comportamenti antisociali di tipo impulsivo e forniscono un correlato cerebrale dell’errore per stanchezza». Altri studi dovranno indagare se specifici fattori, come una predisposizione genetica o particolari alterazioni cerebrali, possano provocare maggiore vulnerabilità agli effetti del sovraccarico cognitivo e alla comparsa di sonno locale durante la veglia.
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