sabato 24 ottobre 2020
Per il Viminale, gli atti capaci di trasformare il dissenso di piazza in una «guerriglia urbana» erano «attacchi preordinati, organizzati, inaccettabili e da condannare»
Scontri di piazza a Napoli

Scontri di piazza a Napoli - Ansa

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«O sazio nun crére a ‘o riùno», chi è sazio non presta fede a chi è a digiuno, recita un vecchio detto napoletano. Attualizzato ai giorni nostri, l’adagio ci ricorda una triste verità: chi non vive un problema in prima persona, spesso non riesce a immedesimarsi nella situazione di chi invece deve farci i conti ogni giorno. In epoca di Covid–19, può accadere che chi sta a casa in smartworking stipendiato possa non provare empatia verso l’angoscia di chi lega il proprio reddito, in chiaro o “in nero”, alle ore trascorse in frutteria, in una pizzeria o in un banchetto di strada. Così, la manifestazione di Napoli contro l’annuncio di un nuovo lockdown va analizzata tenendo in conto la rovente componente di malessere sociale alimentato dall’impoverimento improvviso di milioni di persone.

A parte i professionisti della violenza in cerca di visibilità, di cui diremo fra poco, nel calderone partenopeo, fa notare il parroco di Caivano Maurizio Patriciello, «c’è dentro il grido di un popolo che non ce la fa a tirare avanti e per il quale la situazione è tragica». E quel malessere non cova solo sotto il Vesuvio, ma in altre città del Sud così come a Roma, Milano o Torino. Oppure, per allargare lo sguardo alla sola Europa, nelle strade di Polonia e Germania, nelle banlieue francesi o nei cantoni svizzeri: chi non ricorda l’ondata di proteste che a maggio ha scosso Stoccarda, Francoforte, Berlino e Varsavia? Sulle braci di quel malessere, tuttavia, c’è chi soffia per perseguire obiettivi criminali o per cinici fini di propaganda ideologica.

Per gli analisti del Viminale, gli atti capaci di trasformare il dissenso di piazza in una «guerriglia urbana» erano «attacchi preordinati, organizzati, inaccettabili e da condannare». La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese è convinta che si tratti di gesti che «nulla hanno a che fare col dissenso civile e con le legittime preoccupazioni di imprenditori e lavoratori legate alla difficile situazione economica». E c’è chi, come il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, ipotizza «una sapiente regia» della camorra. Non basta, perché fra gli attizzatori di professione ci sarebbe un coacervo di appartenze: frange di ultras, attivisti di centri sociali, nonché esponenti dell’estrema destra neofascista già attivi in altri contesti (dalla propaganda xenofoba nelle periferie fino al sit–in del 6 giugno al Circo Massimo contro «la crisi legata al Covid–19», poi culminata in scontri e aggressioni ai cronisti).

Venerdì, prima della manifestazione, il leader di Forza Nuova Roberto Fiore ha twittato: «Scendiamo in piazza col vigore tipico della nostra gente. Che si accenda a Napoli la prima scintilla di rivoluzione contro la dittatura sanitaria». E poco dopo i disordini napoletani, a Roma un gruppetto di persone di Fn ha manifestato «contro i Dpcm, il coprifuoco e la dittatura in corso», annunciando che «da Napoli è partita la rivolta, è solo l’inizio».

Sul piano giudiziario, saranno le indagini di magistratura e forze dell’ordine a cercare di dare volto e nome agli incappucciati ripresi nei filmati. Ma la partita sul piano politico è altrettanto cruciale. I toni alla Masaniello debbono essere abbandonati. E l’angoscia di chi si è impoverito non può essere ignorata.

Mentre annunciano coprifuoco e lockdown, governo e amministratori locali sono chiamati, ciascuno per la sua parte, ad assicurare subito, e non fra mesi, interventi concreti di sostegno alle fasce deboli. Solo così le braci del malessere potranno freddarsi, sottraendo materia incendiaria ai soffiatori d’odio.
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