venerdì 4 ottobre 2019
Il progetto è promosso dall'ospedale romano, università Cattolica e Sant'Egidio, cofinanziato da Viminale ed Europa. Verranno visitati e curati circa 3mila richiedenti asilo, in media 90 al mese.
I responsabili delle realtà che hanno contribuito alla formazione dell'ambulatorio

I responsabili delle realtà che hanno contribuito alla formazione dell'ambulatorio

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Alima ha 25 anni e alle spalle tre aborti. È arrivata in Italia dopo mesi di peregrinazioni, in cui il medico era un lusso che non poteva permettersi. Dopo tre giorni dall’arrivo nel nostro Paese con i corridoi umanitari, è stata visitata alcune settimane fa per la prima volta dopo anni e ha scoperto di aspettare di nuovo un bambino, «che adesso sa di poter portare alla luce grazie ai medici» del progetto Prisma. Anche Ruede Sami, 23 anni, e suo marito Annan, 24 anni, sono arrivati dal Libano dopo esser fuggiti dalla Siria in guerra. «Per la prima volta siamo stati visitati e abbiamo fatto tutte le cure necessarie», per la pressione lui e una banale infezione per lei – raccontano – e tra qualche settimana per loro arriverà una ulteriore buona notizia: «Un bambino, avremo un maschio sano e forte».

Anche la banalità di una visita di routine nei campi profughi è un’utopia, così da alcuni mesi è attivo al settimo piano del policlinico universitario Gemelli un ambulatorio dedicato ai migranti, in particolar modo ai richiedenti asilo. Diagnosi, cura e riabilitazione senza dimenticare la prevenzione oncologica sono così possibili grazie all’impegno dei medici dell’ospedale romano, che ha promosso l’ambulatorio insieme all’università Cattolica del Sacro Cuore e alla Comunità di Sant’Egidio grazie al co-finanziamento del Viminale e dell’Europa (Fondo asilo, migrazione e integrazione 2014-2020). Così circa 90 migranti al mese, per un totale di 3mila persone fino a fine progetto, avranno la possibilità di avere una risposta ai loro bisogni di cura più diversificati, avvalendosi anche del supporto linguistico dei mediatori culturali.

«Concretezza e valori possono essere messi in campo per dare risposte nel modo che sappiamo fare, prendendoci cura delle persone, in questo caso le più vulnerabili», dice il rettore dell’università Cattolica Franco Anelli nel corso del taglio del nastro ieri a Roma, sottolineando il percorso formativo avviato in università per medici e infermieri sulla salute dei migranti. L’ambulatorio «è il modo più puntuale – aggiunge Marco Elefanti, direttore generale della Fondazione policlinico Gemelli - di rispondere alla domanda che ci poniamo di come interpretare la nostra missione nelle scelte quotidiane».

Questo progetto si rivolge «sia alle periferie esistenziali che ai vecchi e nuovi poveri, ponendo la persona al centro del comandamento dell’Amore», gli fa eco padre Fabio Baggio, sottosegretario sezione migranti e rifugiati del dicastero per il
Servizio per lo sviluppo umano integrale della Santa Sede
. Dimostrando anche, aggiunge l’assistente ecclesiastico generale dell'università Cattolica monsignor Claudio Giuliodori, come «seguendo le orme di padre Gemelli la scienza si declina con la solidarietà, il che incide sulla coscienza e si trasforma in cultura. L’ambulatorio è seme di speranza oltre che dal grande valore educativo». Non è facile immaginare per chi vaga da mesi, «avere una visita medica dopo pochi giorni dall’arrivo nel nostro Paese ­– spiega Daniela Pompei, responsabile Immigrazione e Integrazione per la comunità di Sant’Egidio – anche grazie all’aiuto di chi permette l’accesso ai servizi di salute».

Il servizio è rivolto a tutti i migranti del Lazio, conclude il responsabile del progetto Prisma Sergio Alfieri, direttore del reparto di chirurgia digestiva, ricordando che grazie ai sanitari e dei mediatori «possiamo non solo offrire loro un servizio, ma mettere a servizio il nostro lavoro».


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