martedì 24 maggio 2016
I commercianti si sono ribellati alle richieste del clan Rubino, attivo a Ballarò. Il sindaco Orlando: «Circolo virtuoso di legalità». Dieci arresti.
Ambulanti del Bangladesh dicono no al pizzo
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Non solo violenze e taglieggiamenti aggravati dal metodo mafioso, ma anche atti di razzismo. I giovani boss crescono nel centro storico di Palermo, ma c’è chi non è più disposto a tollerare i loro soprusi. Questa volta la ribellione arriva da chi fatica ogni giorno per guadagnare qualche euro, dopo avere affrontato un lungo viaggio, aver lasciato il proprio Paese e aver cominciato lentamente a conoscere il modo di vivere occidentale. Commercianti e ambulanti del Bangladesh hanno alzato la testa davanti alla richiesta del “pizzo” e alle continue rapine subite, facendo scattare dieci arresti nel rione Ballarò, il cuore antico della città in cui la voglia di riscatto è ogni giorno più forte. L’operazione “Maqueda” (dal nome della principale strada che attraversa il centro cittadino) della Squadra mobile della polizia, guidata da Rodolfo Ruperti, ha colpito il clan Rubino che negli ultimi mesi avrebbe seminato il panico nel popolare mercato.  Gli arresti sono stati richiesti dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis ed Ennio Petrigni. Si tratta di un gruppo che teneva sotto controllo una parte del rione Ballarò e responsabile di decine di reati aggravati dal metodo mafioso e dalla discriminazione razziale, vicini alle famiglie mafiose di “Palermo Centro”. In particolare, avrebbe preso di mira i commercianti stranieri con continue rapine e violenze private. Una delle regole principali imposte era la minaccia più classica: «Se vuoi aprire il negozio senza avere problemi, devi pagare». Una volta avviata l’attività, i commercianti erano obbligati a versare l’obolo con una cadenza settimanale. Chi non rispettava il “patto” rischiava pesanti ritorsioni, dalle minacce aggravate ai pestaggi. Le indagini hanno avuto un decisivo impulso dall’arresto di Emanuele Rubino, un mese e mezzo fa, per il tentato omicidio di Yusupha Susso, un giovane gambiano, musicista e ben integrato nel territorio, “colpevole” di avere reagito agli insulti di un gruppetto di giovani del quartiere. Rubino è ritornato poco dopo, armato, e ha sparato alcuni colpi di pistola ferendo il giovane alla testa. Il gambiano è scampato alla morte, ora sta bene, ma l’episodio ha scosso profondamente le comunità straniere della zona, supportate anche dalle associazioni che a Ballarò organizzarono una manifestazione di solidarietà.  Un evento che ha provocato una reazione a catena tra i commercianti. Dopo i primi tentennamenti dovuti alla paura, facendosi forza l’un l’altro, hanno rotto il muro di omertà che andava avanti da anni e hanno deciso, coraggiosamente, di raccontare la loro “odissea”, denunciando gli estorsori. «È la dimostrazione che la mafia divide, mentre Palermo è una città di integrazione », commenta il questore Guido Longo. Accanto ai commercianti di diverse nazionalità, ancora una volta, Addiopizzo. «Un’indagine lampo, una storia senza precedenti perché per la prima volta il fenomeno della denuncia collettiva vede coinvolti un cospicuo numero di migranti che da tempo vive a Palermo – dichiara l’associazione –. Adesso ci auguriamo che l’intera comunità cittadina e le istituzioni sostengano e proteggano questi nostri fratelli che hanno dato alla città di Palermo un significativo esempio di civiltà e cittadinanza». «A Ballarò – aggiunge il sindaco Leoluca Orlando – dopo la reazione civile ma decisa dei giovani, prima del Gambia e oggi del Bangladesh, alle violenze e ai soprusi, si è innescato un circolo virtuoso di legalità e civiltà».
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